Prof Michael Mostert Domande/Risposte

ALLERGIE

La dermatite allergica è caratterizzata da lesioni eritematoseedematose e vescicolari confluenti in chiazze a limiti sfumati associate a prurito. All’origine c’è spesso un’elevata sensibilità della pelle ai nuovi materiali di cui i pannolini sono fatti.

La terapia si basa essenzialmente sulla prevenzione, eliminando o riducendo l’esposizione all’allergene o all’irritante.

La prima cosa da fare, quando si notano arrossamenti nell’area genitale del bambino, è cercare di mantenere l’area la più asciutta e pulita possibile.

Per questo occorre cambiare il pannolino di frequente, lavando il bambino a ogni cambio con acqua e, solo all’occorrenza, con un detergente neutro e non aggressivo.

Dopo il lavaggio, il sederino va tamponato con un asciugamano morbido, non sfregato. Può essere utile applicare un sottile velo di una crema protettiva, per esempio all’ossido di zinco, che forma una barriera contro l’umidità che si può creare nel pannolino, o una base di pantenolo, che coadiuva il naturale processo di riparazione della pelle.

In fase acuta è possibile utilizzare creme lenitive per le manifestazioni essudative, creme grasse per le forme secche e brevi cicli con steroidi topici.

La dermatite atopica è una malattia infiammatoria della pelle, caratterizzata da eczema, con intenso prurito e secchezza cutanea, che colpisce il 15-20% dei bambini da 0 a 10 anni, più degli adulti.

L’orticaria è una delle più comuni malattie dermatologiche. Si stima che circa il 20% della popolazione generale presenti orticaria almeno una volta nella vita.
L’orticaria è un’eruzione cutanea caratterizzata dalla comparsa improvvisa di rilievi della pelle di dimensioni variabili, i pomfi, che possono essere pallidirosati o decisamente rossi, e pruriginosi.
Queste lesioni, localizzate o diffuse, cambiano rapidamente nell’arco delle 24 ore, entro le quali regrediscono del tutto per poi eventualmente insorgere altrove.
I pomfi si sviluppano tipicamente a livello superficiale (epidermico), ma talvolta possono associarsi anche a reazioni edematose degli strati più profondi della cute e del sottocute (in tal caso si parla più correttamente di angioedema).

Molti casi di orticaria non hanno bisogno di un trattamento specifico, in quanto l’eruzione spesso si risolve spontaneamente entro pochi giorni. In alternativa, un antistaminico può contribuire ad alleviare i sintomi, mentre i casi più gravi possono richiedere un breve ciclo di corticosteroidi orali.

L’orticaria acuta è spesso provocata da reazioni allergiche, tuttavia le cause scatenanti possono essere molteplici; la forma cronica, invece, dipende raramente da una causa allergica e spesso riconosce un’eziologia autoimmune.

Le cause dell’orticaria allergica possono essere:

  • allergie alimentari: arachidi, crostacei, uova, noci, kiwi, formaggio ecc.;
  • fattori ambientali: pollini, acari della polvere, sostanze chimiche;
  • farmaci: alcuni farmaci, tra cui antibiotici, farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), aspirina, antistaminici, anticonvulsivanti ed antidiabetici,  possono causare orticaria come effetto collaterale;
  • punture o morsi diinsetti (ad esempio api e vespe).

La maggior parte delle allergie è associata all’ingestione, all’iniezione o all’inalazione di allergeni; tuttavia, l’orticaria può derivare anche dal diretto contatto della pelle o delle mucose con una sostanza, come avviene per la reazione al lattice.
La maggior parte delle allergie si manifesta in forma lieve, ma alcune persone possono sviluppare un grave shock anafilattico entro pochi minuti dall’esposizione.

Molte persone riscontrano che alcuni eventi fanno riapparire o contribuiscono a peggiorare i sintomi dell’orticaria già esistenti:

  • stress;
  • alcool e caffeina;
  • pressione prolungata sulla pelle (per esempio da indumenti stretti);
  • farmaci come FANS (antinfiammatori non steroidei) ed ACE inibitori (utilizzati per il trattamento dell’ipertensione);
  • punture di insetti;
  • esposizione a calore, freddo, pressione o acqua.

La rinite allergica è una malattia frequente.
Secondo le statistiche più recenti colpisce dal 20 al 25% della popolazione italiana e molto spesso comincia nell’infanzia. È caratterizzata da starnuti frequenti e ripetuti, prurito al naso, a volte ostruzione nasale bilaterale, a volte tosse secca ed è di solito accompagnata da congiuntivite.

A differenza del normale raffreddore dura più di qualche giorno e il muco che esce dal naso è sempre chiaro.
Soprattutto quando è causata da pollini, ha un caratteristico andamento stagionale.
Non è raro che la rinite allergica si associ ad asma, per cui è opportuno controllare la funzione respiratoria con la spirometria basalee con il test di bronco dilatazione farmacologica, per poter diagnosticare precocemente un’eventuale asma, in modo da intervenire con una terapia specifica.

Gli antistaminici per bocca migliorano i sintomi della rinite allergica e agiscono soprattutto sulla frequenza degli starnuti. I colliri antistaminici alleviano la congiuntivite se è presente.

pediatri allergologi suggeriscono di fare regolarmente il lavaggio del naso con soluzione fisiologica, in caso di rinite allergica, perché è una vera e propria terapia. Il lavaggio, infatti, permette di rimuovere i pollini che si sono depositati sulla mucosa nasale.
Perché sia efficace e non fastidioso deve essere fatto correttamente. La soluzione fisiologica deve essere tiepida, il bambino deve tenere il capo piegato di lato e la soluzione va introdotta nella narice che è più in alto, in modo che possa entrare nel naso, passare attraverso tutte le cavità collegate al naso e uscire dall’altra narice. Si può utilizzare una siringa senza ago, ma esistono anche in commercio delle sacche con deflussore, efficaci e di semplice utilizzo, che si possono acquistare in farmacia e su internet.

Un’alternativa è il rinowash, un apparecchietto che si collega all’areosol e che serve per veicolare farmaci nelle cavità nasali e paranasali e nel rinofaringe. Può essere usato anche per l’igiene nasale, con soluzione fisiologica, anche se è un meno efficace del lavaggio.

Gli spray nasali a base di derivati del cortisone aiutano a ridurre il gonfiore della mucosa, ma vanno utilizzati secondo schemi indicati dal medico, per evitare l’assuefazione.
In qualche caso utilizzarli è fondamentale, perché, se il bambino con rinite allergica respira male durante la notte, può presentare problemi comportamentali durante il giorno, come sonnolenza, agitazione o anche disturbi dell’apprendimento.

INCIDENTI

È fondamentale la prevenzione, tenendo conto dell’abilità del bambino di raggiungere tutto ciò che lo incuriosisce e di ingerire ciò che ha visto ingerire dalla mamma, dal papà o dai nonni. Nel caso di un’avvenuta ingestione sospetta:

  • non prendere nessuna iniziativa: non farlo vomitare, non fargli bere latte né altro;
  • telefonare subito al Centro antiveleni (vedi ‘numeri utili di’ questo sito) nel caso di farmaci è importante avere a disposizione la confezione del farmaco ingerito e sapere riferire all’incirca la quantità che sospettate abbia ingerito. Ugualmente se si tratta di altri prodotti (andate al telefono con il prodotto in causa, vi chiederanno la composizione).

In caso di difficoltà a contattare il Centro Antiveleni, recarsi al più vicino Pronto Soccorso.

Ricordate che la prevenzione degli infortuni è la cosa più importante che potete fare per proteggere i vostri bambini.

Dati ufficiali dell’UNICEF e dell’OMS (novembre 2011) parlano di migliaia di bambini vittime di infortuni e di 2300 bambini morti al giorno per incidenti. Il 90% riguarda i bambini dei paesi poveri, ma nei paesi occidentali gli infortuni sono per il 40% responsabili della morte dei nostri bambini.

Le prime 5 cause di morte sono: incidenti stradali, annegamento, ustioni, cadute, avvelenamento.

Osservate l’ambiente in cui si muove il bambino con i suoi occhi: lui è curioso, è un esploratore, voi dovete proteggerlo senza riempirlo di divieti e di paure. Se nonostante le vostre attenzioni accade un incidente: state calmi, osservate, intervenite.

Se il bambino ha introdotto in bocca un oggetto che gli impedisce di respirare vanno iniziate subito le manovre di disostruzione e, appena possibile, chiamare il 112. Se vedete l’oggetto quando apre la bocca provate a rimuoverlo utilizzando il dito indice ad uncino, se non riuscite al primo tentativo non insistete perché potreste spingerlo ancora più in basso.
Se é un bambino piccolo: mettetevi seduti, appoggiatelo sulle vostre gambe in posizione prona un po’ inclinato in basso, reggete il capo in estensione  e battete vigorosamente in zona interscapolare con via di fuga laterale per 5 volte.  Se il bambino é più grande: con bambino in piedi ponetevi dietro di lui in laterale, mettete le mani chiuse a pugno incrociate subito tra l’ombelico e l’osso dello sterno e fate 5 brevi e vigorose compressioni dal basso in alto: questo provocherà tosse e la fuoriuscita dell’oggetto dalla bocca.

Per molti motivi:

  • anatomia:la zona posteriore alla lingua è come un imbuto: largo all’inizio, poi diventa molto stretto (la trachea fino ai 4 anni ha un diametro di 4-6 mm, di 8 mm dai 4-8 anni, di 10 mm verso gli 8-10 anni);
  • masticazione:gli adulti pensano che il bambino impari automaticamente, da solo, a masticare, e che comunque quando avrà  i molari non ci saranno più problemi né rischi. In realtà, come tanti altri aspetti nello sviluppo del bambino, a masticare bene si impara solo se qualcuno lo insegna, quindi ci vuole insegnamento, tempo e ripetitività da parte del genitore perché il piccolo acquisisca questa buona abitudine in modo corretto;
  • comportamenti imprevedibili: mentre mangia il bambino spesso ha comportamenti improvvisi e imprevedibili: si muove, si gira sul seggiolone, può avere episodi di pianto o riso che modificano la regolarità della respirazione e della deglutizione.

 

  • Cibi duricome croste di pane, carote, finocchi, mela, frutta secca, caramelle;
  • cibi scivolosicome uva, pomodori, olive, ciliegie;
  • cibi fibrosicome carne, prosciutto, mozzarella, wurstel;
  • insegnare a masticare: da quando il bambino comincia a mostrare interesse per il vostro cibo, offrire assaggi di cibo molle, schiacciato, di grandezza inferiore al mezzo cm, offrirne poco per volta, controllare che non ne metta troppo in bocca e insegnare a masticare. Occorre che laparola “mastica” sia accompagnata dal gesto (masticate voi in modo chiaro e lento) e dal rumore dei denti. Occorre che questa pratica sia ripetuta ogni volta che date qualcosa di solido come un’abitudine e più volte al giorno;
  • si mangia solo seduti:essere fermi e coerenti nella regola che si mangia da seduti a tavola o sul seggiolone: non si mangia da sdraiati, non si mangia mentre si gioca, non si mangia mentre si cammina, non si mangia mentre si guarda la TV, non si mangia in auto (tutte circostanze rischiose e di difficile assistenza da parte del genitore);
  • dare il buon esempio:occorre che diate l’esempio di mangiare voi stessi masticando lentamente seduti a tavola non facendo altro (TV!), i bambini ci guardano ed imparano dai nostri comportamenti!
  • tenere lontani giochi e oggetti pericolosicome pile, collane, palloncini gonfi e sgonfi, sacchetti di plastica e involucri di plastica. Verificare che i giochi non abbiano parti piccole, lisce e tonde che si staccano;

 

 

Occorre che i genitori abbiano nozioni base di Primo Soccorso Pediatrico. In molte città la Croce Rossa Italiana organizza dei corsi di disostruzione pediatrica ai quali è utile partecipare per imparare a praticare le manovre anti soffocamento e di rianimazione del lattante e del bambino.

  • Manovre di disostruzione dellattante e del bambino spiegate dalla Croce Rossa.

Ferite piccole e superficiali, che non interessano il viso e smettono subito di sanguinare:

  • lavatevi subito le mani e asciugatele con un fazzoletto di carta;
  • lavate bene con acqua e sapone la parte ferita eliminando eventuali materiali estranei (terra,schegge di legno ecc.). Se avete dubbi che siano rimasti conficcati pezzi di vetro o altri materiali, portatelo al pronto soccorso;
  • se la ferita sanguina, premete con unagarza sterile per 5-10 min;
  • ogni bambino in regola con le vaccinazioni di legge è protetto dal tetano fino ai 15 anni.

Importante: dai 15 anni in poi ogni cittadino ogni 10 anni deve mantenere attiva la protezione antitetano facendo una dose di vaccino. Per questo rivolgersi all’Ufficio di Igiene.

Ferite profonde, ovvero l’emorragia non si ferma con la semplice compressione:chiamare il 112. Nell’attesa dell’ambulanza o prima dell’l’arrivo in ospedale:

  • se interessa un braccio o una gamba, tenetelo sollevato;
  • se il sangue esce zampillando (rottura di un’arteria) legate un laccio alla radice dell’arto interessato (toglietelo ogni 15 min per almeno 30 sec);
  • sul torace o sulla schiena comprimete la ferita con garze (stracci puliti) fino all’intervento del medico;
  • mantenete il bambino sdraiato, con la testa piegata da un lato e le gambe lievemente sollevate.

È un’evenienza molto frequente in età pediatrica. È sufficiente l’osservazione domiciliare se:

  • la dinamica del trauma non è preoccupante (altezza di caduta, superficie di impatto, perdita di coscienza);
  • il bambino piange ed è facilmente consolabile;
  • vi è un episodio di vomito dopo il pianto intenso con successivo ritorno al comportamento normale e alle attività normali del bambino.

Applicare con una leggera pressione per 10-15 minuti del ghiaccio sulla zona interessata, far giocare il bambino cercando di non farlo dormire fino a dopo avere valutato il ritorno alla normalità. In tutte le altre situazioni è utile una valutazione medica.
Se nelle successive 24-48 ore intervengono altri episodi di vomito, disturbi della vista, sonnolenze sospette, recarsi in Pronto Soccorso.

Nel caso di traumi in altre parti del corpo (gambe, braccia, torace, addome), se il dolore è importante recarsi in Pronto Soccorso. Per traumi modesti alle articolazioni o ematomi, applicare ghiaccio con media pressione per 10 minuti, ripetere più volte nelle successive 2-3 ore. Nei giorni successivi applicare unguento d’arnica con lieve massaggio 2-3 volte al giorno.
Per trauma all’addome e/o alla zona lombare controllare per qualche giorno il colore delle urine (tracce di sangue).

Sono lesioni provocate da agenti termici come fuoco o liquidi caldi dotati di un calore elevato. La valutazione di gravità si basa:

  • sull’estensione: se è superiore al 10% della superficie corporea, è indispensabile il ricovero;
  • sullaprofondità, in base alla quale vengono classificate in: primo grado (arrossamento cutaneo e dolore), secondo grado (arrossamento con formazione di vescicole, flittene e dolore), terzo grado (sono interessati tutti gli strati cutanei e gli annessi, se il fondo dell’ustione è biancastro o grigio nerastro e vi è perdita della sensibilità dolorosa);
  • sullalocalizzazione: il volto, le mani, le mani, i piedi, i genitali sono zone a maggior rischio di complicazioni.

Se l’ustione è di primo o secondo grado e interessa una superficie inferiore al 10%, oppure di terzo grado ma interessa una superficie inferiore al 3%, se non sono interessate le parti del corpo più a rischio di complicanze e se non coesistono fattori aggravanti, può essere instaurata una terapia a domicilio:

  • Raffreddare con acqua i tessuti prima di allontanarli dalla pelle. Per superfici estese raffreddare e non rimuovere i tessuti (sarà fatto in ospedale);
  • detergere con soluzione fisiologica;
  • non svuotare le vescicole integre(per evitare ulteriore perdita di liquidi);
  • applicare localmentegarze medicate (fitostimoline garze) e rivedere la medicazione dopo circa 24 ore.

Per avere un’idea della percentuale di superficie : il tronco è il 13% del corpo, la mano il 2%, il piede il 3%, la coscia 8%, braccio il 4%, la testa il 9%.

NUTRIZIONE

L’acqua è un elemento di primaria importanza nella vita dell’uomo: al momento della nascita rappresenta il 77% del peso corporeo del neonato, e nel corso della vita questo decresce fino arrivare al 45% nell’adulto. Nella donna è presente in minor quantità.
Il fabbisogno medio è di 1,5 litri al giorno.

In Italia le persone che scelgono, per ragioni etiche o di salute, di seguire un’alimentazione a base vegetale sono in continuo aumento.

Negli adulti, l’eliminazione di alcuni alimenti dalla propria dieta può non comportare particolari rischi per la salute, purché certe scelte non siano autogestite, ma sempre valutate e controllate con uno specialista. Nel caso dei bambini però, la situazione è più complessa. Il corpo di un bambino, infatti, ha bisogno di tantissimi nutrienti per crescere e maturare in maniera corretta: in questo caso l’organismo non si adatta ai cambiamenti, ma li subisce.
È necessario perciò essere consapevoli che le probabilità d’incorrere in carenze di alcuni nutrienti è maggiore se si eliminano le proteine animali dall’alimentazione di un organismo in via di sviluppo e i rischi che ne derivano sono principalmente: il ritardo della crescita staturo-ponderale e quello dello sviluppo psicomotorio.

Nell’ambito dell’alimentazione pediatrica non è concesso sbagliare, improvvisare o trascurare alcuni dettagli. Per questo, il compito di chi si occupa di nutrizione è quello di insegnare ai genitori ad alimentare in maniera corretta ed equilibrata i propri bambini, nel rispetto delle scelte alimentari da essi compiute, a patto però che queste non mettano in pericolo la loro salute e sicurezza.

Per quanto riguarda il capitolo “sicurezza“, è importante ricordare che:

  • qualunque tipo di alimentazione a base vegetale non va mai imposta al bambino prima del primo anno di vitae comunque rimane fortemente sconsigliata prima dei compimento dei 2 anni;
  • un bambino vegetariano/vegano deve essere controllato più spesso nel suo percorso di crescita, anche con esami specifici, per individuare prontamente eventuali carenze nutrizionali;
  • qualora non si individuino deficit, dobbiamo ricordare che nei primi anni di vita determinate supplementazioni nutrizionalipossono comunque essere necessarie o quantomeno consigliate.

Principalmente DHA (acidi grassi essenziali), calcioferrovitamine D e B12.

Le proteine sono fondamentali a tutte le età, ma soprattutto in età pediatrica, perché rappresentano “i mattoni” che il nostro organismo utilizza per costruire i nuovi tessuti e riparare quelli danneggiati.

Con una dieta a base vegetale bilanciata è possibile assicurare al nostro organismo il fabbisogno proteico quotidiano (che varia in base all’età e al peso corporeo). Ecco alcune delle fonti vegetali da cui assumere proteine:

  • legumi (in particolare ceci, fagioli, lenticchie);
  • cereali (in particolare quinoa, cereali integrali, farro e cereali fortificati per i più piccoli);
  • semi (in particolare semi di canapa, di sesamo, di chia e di zucca);
  • frutta secca (in particolare le mandorle);
  • derivati della soia (in particolare tofu e tempeh), consiglio l’assunzione della soia in età pediatrica solo se il prodotto è biologico e comunque sotto indicazione medica, dato l’elevato rischio di trovare in commercio soia transgenica;
  • derivati della Farina (seitan);
  • in misura minore anche alcuni vegetali come spinaci e

Ogni alimento vegetale ha un amminoacido limitante, ovvero un amminoacido (struttura primaria delle proteine) presente in concentrazione più bassa rispetto al fabbisogno. È quindi fondamentale assumere a ogni pasto alimenti complementari, ovvero contenenti differenti tipi di proteine vegetali.
Per esempio i cereali non contengono gli amminoacidi lisina e treonina; quindi dovremo compensare questa mancanza mangiando i legumi, che invece ne sono ricchi. Ecco perché un ottimo piatto vegetariano come la pasta integrale con i piselli è l’ideale per non soffrire di carenze proteiche.
Un altro esempio: i legumi non contengono l’amminoacido metionina; gli alimenti complementare ai legumi sono i semi, la frutta secca e i cereali, quindi ricette come lenticchie e quinoa oppure l’insalata di ceci e noci danno un valido e completo apporto nutritivo all’interno di una dieta vegetariana.

Latte e latticini non dovrebbero mai mancare in una dieta vegetariana perché sono un’importantissima fonte di calcio e vitamina D.
Il calcio alimentare è presente anche in alcune fonti vegetali quali:

  • verdure,in particolare cavolfiore, cavolo, broccoli, cime di rapa e verdure a foglia;
  • frutta secca,in particolare le mandorle;
  • semi di sesamo e girasole;
  • cereali integrali;
  • legumi.

Un consiglio: è importante evitare di mangiare cibi che contengono ossalati (come gli spinaci) nello stesso pasto in cui si assumono cibi ricchi di calcio, perché ne riducono l’assorbimento.
I bambini carenti di calcio possono avere dei deficit nello sviluppo della massa ossea, essere più esposti alle fratture, alla fragilità ossea e alle deformazioni della colonna vertebrale.

Rappresentano la principale fonte d’energia per le attività metaboliche dell’organismo.
Forniscono 4 calorie per grammo.
Si dividono in:

  • semplici: costituiti da una o due molecole;
  • complessi: costituiti da molte molecole di monosaccaridi;
  • indigeribili: ad esempio la cellulosa.

La principale differenza sta nella velocità di assorbimento, che si riflette sulla capacità di fornire energia nel tempo: i carboidrati semplici presentano un veloce assorbimento e forniscono un’energia rapidamente utilizzabile, ma di breve durata (per es. il cioccolato dell’atleta che deve correre i 100 mt).
L’opposto accade con i carboidrati complessi, più lenti da assorbire ma che forniscono un’energia di lunga durata (per es. il piatto di spaghetti consumato da un maratoneta prima della gara). L’amido, presente specialmente nei cereali integrali e nelle patate, rappresenta un’ottima forma energetica per l’organismo, in quanto aumenta il glicogeno muscolare fondamentale come fonte energetica nello sport.
La cellulosa è presente nella corteccia della frutta e nelle verdure, è in gran parte indigesta per l’uomo e apporta poca energia, ma è utile per lo svuotamento dell’intestino.
carboidrati sono una classe molto importante di nutrienti e la molecola più importante è il glucosio. Questo zucchero viene immagazzinato nel fegato come glicogeno.
Le riserve di glucosio sono piuttosto esigue e nei periodi di digiuno il nostro organismo produce glucosio a partire da altre sostanze (gluconeogenesi). Quando l’organismo ha un “eccesso” di  carboidrati, questi vengono trasformati in tessuto adiposo e conservati come riserva di energia.

Si pensa che per dimagrire si debba ridurre l’assorbimento dei carboidrati, mentre studi recenti dimostrano come in loro assenza si formi uno stato di chetosi dannoso all’organismo e come valori di carboidrati troppo ridotti non aiutino il calo ponderale.
Quello che sicuramente bisogna fare è incentivare il consumo di cereali integrali più ricchi in fibra che riducono l’assorbimento degli zuccheri semplici e facilitano il transito intestinale.

L’apporto calorico andrebbe così diviso:

  • colazione 15-20% del fabbisogno giornaliero;
  • pranzo e cena 30-40%;
  • spuntino metà mattina e pomeriggio 5-10%.

Il principio fondamentale è la varietà dei menù e l’utilizzo di prodotti di stagione.

I disturbi del comportamento alimentare, come l’anoressia e la bulimia, possono essere i sintomi di un complesso disagio globaleche coinvolge l’individuo e la sua sfera familiare e sociale. Colpiscono prevalentemente le donne e si manifestano soprattutto nel corso dell’adolescenza.

L’anoressia nervosa è caratterizzata da questi sintomi:

  • rifiuto di mantenere ilpeso corporeo al di sopra o al livello minimo normale per l’età e la statura;
  • intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si èsottopeso;
  • alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso e la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma sullivello di autostima;

La bulimia nervosa si manifesta quando:

  • si mangia, in un definito periodo di tempo, una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbero nello stesso tempo e in circostanze simili (abbuffate ricorrenti); questi episodi sono accompagnati dalla sensazione di perdere il controllo;
  • si verificano ricorrenti e inappropriatecondotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso (come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, digiuno o esercizio fisico eccessivo);
  • le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi;
  • i livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.

I disturbi del comportamento alimentare necessitano un intervento multidisciplinare e coordinato.
Le terapie possono consistere in visite mediche, controlli clinici, percorsi di psicoterapia individuale e/o familiare, terapia di gruppo, terapia farmacologica, riabilitazione alimentare (cognitiva e comportamentale).

La bulimia è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato da episodi di abbuffata, seguiti da comportamenti compensatori. Colpisce prevalentemente le donne e si manifestano soprattutto nel corso dell’adolescenza. L’abbuffata consiste tipicamente nel mangiare grandi quantità di cibo, dove si ha la sensazione di perdita di controllo, a cui segue un comportamento compensatorio quale il vomito autoindotto, abuso di diuretici e lassativi ed eccessiva attività fisica.

Lo scopo di questo comportamento è di eliminare la grande quantità di cibo ingerita ed alleviare il senso di colpa, (provocato dall’abbuffata ) e di prevenire l’aumento di peso.
La bulimica di solito nega l’esistenza del problema con gli altri ma riconosce che la sua alimentazione è anormale.

La bulimia è legata sia a  fattori familiari, sociali, come il mito per la magrezza e psicologici, come il perfezionismo.
I fattori familiari e sociali preparano il terreno per lo sviluppo della bulimia e le caratteristiche psicologiche dell’individuo sono il fattore determinante.
Le persone bulimiche, attraverso l’abbuffata e i comportamenti compensatori, cercano di ridurre emozioni sgradevoli che non riescono a gestire. Purtroppo questi sentimenti riemergono, rendendo necessari ulteriori abbuffate e comportamenti compensatori.

Per la cura della bulimia è necessario ricorrere a un intervento multidisciplinare che preveda il percorso mirato con psicologo o psicoterapeuta, il supporto di un nutrizionista ed eventuale terapia farmacologica.

Tra i vegetali più ricchi di ferro abbiamo:

  • legumi, in particolare lenticchie e fagioli;
  • ortaggi, in particolare spinaci, cavolo, verza, bietola, radicchio, broccolo, invidia;
  • semi, in particolare i semi di zucca;
  • cereali integrali, ad esempio i risi integrali tipici della Lombardia come il riso rosso “Hermes”, il riso nero “Venere” o anche la quinoa e i cereali fortificati per i più piccoli;
  • soia, in particolare tofu e germogli.

Il ferro contenuto nei vegetali (detto ferro non-emico) è assorbito in misura ridotta dal nostro organismo rispetto al ferro contenuto negli alimenti di origine animale (detto ferro emico); per questo nel bambino (come nell’adulto) è necessario tenere sotto controllo i livelli di questo minerale con specifiche analisi e, nel caso di carenze, procedere con le opportune integrazioni.
La carenza di ferro, anche senza anemia manifesta, può influire negativamente sullo sviluppo psicomotorio e comportamentale del bambino.

Un modo per aumentare l’assorbimento del ferro dagli alimenti (vegetali e animali) è quello di consumarlo insieme a nutrienti ricchi di vitamina C (ad esempio agrumi o succo di limone): aggiungere il succo di limone alla carne, al pesce, ma anche ai vegetali come gli spinaci, l’invidia etc. e consumare spesso agrumi può essere un trucco per aumentare i livelli di ferro assunti con l’alimentazione.

Un altro utile accorgimento è di evitare di assumere cibi che contengono calcio (come latte e latticini), tannini (come tè, cioccolato) e fitati (come la crusca) nello stesso pasto in cui si assumono cibi ricchi di ferro, perché ne riducono l’assorbimento.

Gli acidi grassi essenziali di cui si rischia una carenza in una dieta vegana/vegetariana sono soprattutto quelli della famiglia degli Omega 3 (detti EPA e DHA). Per evitare deficit è necessario, non solo incrementarne le fonti vegetali, ma limitare quelle di altri grassi che interferiscono con il loro metabolismo, ovvero i grassi saturi e Omega 6.
I grassi saturi (contenuti soprattutto in formaggi, insaccati, prodotti di pasticceria, merendine, carni trasformate e rosse, burro) dovrebbero essere assunti con moderazione data la loro diretta correlazione con l’aumento dei fattori di rischio cardiovascolari.
I grassi della famiglia degli Omega 6 (contenuti soprattutto nella frutta secca e nei principali oli di semi) hanno effetti benefici sull’organismo, ma solo se consumati nelle giuste dosi: ad esempio, la quantità ottimale di frutta secca è di 30 grammi al giorno, non di più.

Le migliori fonti vegetali di acidi grassi essenziali Omega 3 sono:

  • olio di lino(conservato in frigorifero) e semi di lino;
  • noci;
  • vegetali a foglia verde(in particolare spinaci, broccoli e lattuga);
  • soia(latte, tofu, germogli).

Questi alimenti però non possono in alcun modo sostituire la quota di Omega 3 che possiamo assumere con il pesce e tutti i prodotti della pesca; per questo motivo è spesso consigliata l’integrazione di questo nutriente nel bambino, perché un deficit potrebbe compromettere la maturazione del sistema nervoso centrale.

Un consumo adeguato di fibre produce effetti positivi nelle persone obese, nei diabetici e ipercolesterolemici, poiché aumenta il senso di sazietà.
Le fibre diminuiscono la densità energetica della dieta, esercitano un’azione modulante sui picchi di glicemia e insulina dopo i pasti, riducono l’assorbimento del colesterolo e i livelli di colesterolo nel sangue, aiutando a prevenire le patologie cardiovascolari.

Le fibre migliorano la peristalsi intestinale e i disturbi a essa associati, come stipsidiverticolosiemorroidiriducono i rischi di malattie cronico degenerative come i tumori del colon-retto grazie alle proprietà igroscopiche (la capacità di trattenere l’umidità).
Studi epidemiologici dimostrano come le popolazioni che consumano abitualmente alimenti grassi, ipercalorici, ricchi in zuccheri raffinati e poveri di fibra abbiano una maggior probabilità di sviluppare cancro al colon rispetto a popolazioni in cui si privilegia un’alimentazione ricca di verdura, cereali, farine integrali, legumi e frutta.

Una modificazione degli stili alimentari verso scelte più sane si traduce quindi nella prospettiva di riuscire a prevenire malattie del metabolismo, cardiovascolari e tumori.

Le fibre sono polisaccaridi che i nostri enzimi digestivi non riescono a sciogliere. Le fibre alimentari si trovano nei cerealilegumiverdura e frutta.
Non hanno valore nutritivo o energetico, ma esercitano effetti di tipo metabolico e funzionale, regolando diverse funzioni fisiologiche dell’organismo, che le rendono componenti importanti dell’alimentazione umana. Inoltre la fibra, poiché richiede una masticazione più prolungata, allunga i tempi di svuotamento gastrico e dà un maggior senso di sazietà.

Le fibre alimentari si dividono in idrosolubili e non idrosolubili. Le prime sono solubili in acqua, in cui formano soluzioni viscose che riducono o rallentano l’assorbimento di alcuni nutrienti, come carboidrati e grassi, contribuendo così al controllo della glicemia e dell’ipercolesterolemia.
L’aumento del consumo abituale di fibre va effettuato gradualmente poiché può accompagnarsi alla comparsa di effetti collaterali quali meteorismo, distensione addominale e diarrea, a causa della fermentazione batterica della fibra. Sono presenti in verdura, legumi e frutta (fresca e secca).

Le fibre non idrosolubili (cellulosa, lignina e alcune emicellulose), principalmente presenti nei cereali integrali, non sono invece solubili in acqua e fermentano poco.
Agiscono sul tratto gastrointestinale dove assorbono acqua e gas e aumentano la motilità dell’intestino. Favoriscono quindi l’evacuazione delle feci e riducono il tempo di permanenza di eventuali sostanze tossiche o nocive.
Sono quindi importanti nel migliorare la funzionalità intestinale e nel prevenire disturbi o patologie ad essa associate, come stipsi, diverticolosi e tumori del colon retto.

Il fabbisogno in un individuo adulto è di circa 30 grammi al giorno. Se ne assumiamo di meno e vogliamo aumentare la dose, dobbiamo ricordarci di farlo in modo graduale. Meglio farlo arricchendo la dieta con cibi ricchi di fibra piuttosto che ricorrere agli integratori.
É necessario anche bere di più per permettere all’intestino di abituarsi meglio al cambiamento.

Ecco alcuni esempi:

  • riso, orzo, pasta, pane: 1-3 g di fibra per 100 g;
  • cereali integrali: 6-10 g di fibra per 100 g;
  • frutta secca: 5-12 g di fibra per 100 g;
  • frutta fresca (in particolare nella buccia): 1-4 g di fibra per 100 g;
  • legumi: 5-8 g di fibra per 100 g;
  • verdure: 1-8 g di fibra per 100 g.

grassi, o lipidi, rappresentano la maggior riserva di energia dell’organismo. Il loro metabolismo fornisce più del doppio delle calorie rispetto a carboidrati e proteine, 9 kcal per grammo.
I grassi sono componenti fondamentali di membrane cellulari e intervengono nell’assorbimento di vitamine liposolubili (A, D, E, K).
Gli acidi grassi si dividono in saturi insaturi: i primi sono solidi a temperatura ambiente e sono di origine animale (burro, lardo, pancetta); i secondi sono di origine vegetale e liquidi a temperatura ambiente (olio d’oliva, olio di semi).
L’uso di oli vegetali consente l’assunzione di acido linoleico e linolenico, acidi grassi essenziali necessari per il normale accrescimento e il normale funzionamento corporeo.

Un eccessivo consumo di lipidi favorisce l’obesità. Un’assunzione del 30% consente di avere in ogni pasto una quantità di grassi sufficienti per sentirsi sazi e mantenere il digiuno tra un pasto e l’altro. Il nostro organismo ha una capacità “illimitata” di immagazzinare grassi: se questo avviene nei primi anni di vita ciò che si verifica è un incremento anche nel numero di cellule adipose.

Alcuni alimenti vegetali (cavolo, rapa, manioca, cipolla, noci) contengono sostanze che ostacolano l’assorbimento dello iodio. Se a tale aspetto aggiungiamo l’esclusione del pesce, delle uova e del latte dalla dieta è facile incorrere in carenze di questo minerale.

L’importanza di un adeguato apporto nutrizionale di iodio sta nel fatto che questo elemento è il costituente essenziale degli ormoni della tiroide, che svolgono un ruolo critico sullo sviluppo del sistema nervoso centrale nelle prime fasi della vita e contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio metabolico in età adulta. Per questo è necessario accertarsi di non incorrere in carenze attraverso specifici esami e, per i bambini più grandicelli, di utilizzare sempre e solo il sale iodato.

Un corretto e bilanciato un regime alimentare è composto da:

  • 55-65% glucidi (o carboidrati)con 15% di zuccheri semplici;
  • 10-15% protidi (o proteine);
  • 20-30 % lipidi (o grassi);

Le proteine sono i costituenti fondamentali dell’organismo, e la loro principale funzione è quella di fornire l’impalcatura del nostro organismo. Forniscono 4 kcal per grammo e sono fondamentali per la costituzione di muscoli, sangue, cute ed organi interni, ma servono anche per formare e trasportare ormoni. Le proteine a più alto valore biologico sono quelle dell’uovo; le proteine meno “nobili” sono quelle di origine vegetale dei legumi. Il fabbisogno proteico si aggira intorno al 10-15% delle calorie totali (50% di origine animale e 50% di origine vegetale).

Svezzare significa abbandonare, e nel caso del cibo lasciare il latte per proporre altri alimenti al neonato.

Il latte, tanto più il latte materno, è un alimento completo che garantisce un’alta e ottima crescita nei primi 6 mesi. Il latte però è carente di un minerale indispensabile che è il ferro, di cui il neonato ha fatto scorte durante la vita fetale, scorte che si esauriscono appunto nel primo semestre di vita.

È quindi lo stesso lattante a manifestare a quest’età una “curiosità-bisogno” verso altri alimenti, quelli cosiddetti degli adulti.

Tra i 5-6 mesi, ogni bambino fa capire con il suo comportamento di curiosità, con sguardi e gesti, l’interesse e la sua disponibilità a questo importante cambiamento; il genitore a quest’età deve cominciare a proporre assaggi.

È una tappa molto importante e significativa non solo dal punto di vista nutrizionale, ma anche da quello psicologico: viene considerata come la prima vera esperienza del principio di realtà (dal controllo sul seno della mamma, alla delusione di dovere cessare la suzione per potere continuare a crescere bene).

Il bambino ha bisogno quindi di calma e di tempo. Ogni bambino ha i suoi tempi per imparare i nuovi movimenti della lingua per deglutire, per conoscere e accettare il movimento del cucchiaino che arriva e poi se ne va, per provare sapori e consistenze di cibo diversi.

Secondo l’articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine 2015,372: 803-13, la ritardata introduzione e/o la prolungata esclusione di un alimento aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare un’allergia alimentare specifica per quel cibo; quindi più tardi s’introducono i vari alimenti, più il lattante può sviluppare intolleranza.

La gradualità dovrebbe quindi rispettare più di tutto i tempi e i gusti del bambino. Il genitore deve proporre assaggi di tutte le verdure di stagione, di tutti i cereali (creme, semolini, fiocchi), di carni bianche e pesce, di legumi, yogurt, uova e formaggi freschi.

All’inizio la quantità di cibo nuovo che mangerà non sarà sufficiente e si dovrà completare il pasto con l’aggiunta di latte. Per molti lattanti i cibi più graditi sono quelli con sapori più delicati, meglio quindi iniziare da questi.

Anche l’intestino si trova a dover svolgere un lavoro nuovo, quindi è meglio introdurre gradualmente i cibi ricchi di fibre.

La forma papposa è importante perché il lattante non sa masticare e l’anatomia del suo retro-gola (imbuto largo che si restringe bruscamente) lo espone al rischio di soffocamento. Anche fino ai 2 anni i cibi devono essere molli e schiacciati e i genitori, fin dai primi assaggi di cibi asciutti, devono insegnare ai piccoli a masticare.

Privilegiamo tutte le verdure fresche di stagione, facendo abbinamenti di gusto e colore differenti (non va bene proporre sempre e solo il minestrone misto), tutti i cereali oltre al solito frumento (orzo, avena ,farro, miglio, riso, semola di cous cous, pane come il pancotto dei nostri nonni!), pesci differenti, zuppe di legumi miste, ma anche mono gusto (ceci, piselli, lenticchie, fagioli di tutti i tipi).

I primi tempi i cibi vanno frullati o passati, più in là può bastare la schiacciatura, eliminando con cura i grumi consistenti.

Si può congelare il brodo vegetale, il passato di verdure (anche in monoporzioni), le porzioni di carne e pesce fresco e tutto si può trasportare per preparare la pappa fuori casa.

La vitamina B12 è presente esclusivamente negli alimenti di origine animale (fatta eccezione per i prodotti vegetali “fortificati”). La carne è la fonte alimentare più ricca di questo nutriente, ma in alternativa ne troviamo discrete quantità anche in altri alimenti quali:

  • latte vaccino;
  • uova(in misura minore).

Questi però sono cibi assunti solo da chi segue una dieta latto-ovo-vegetariana e comunque non sono in grado di sostituire le quantità di vitamina B12 che si possono ottenere da carne e pesce. La sua carenza è quindi piuttosto comune in chi segue un alimentazione a base vegetale e una conseguenza pericolosa del deficit di vitamina B12 è l’anemia perniciosa, che può creare scompensi e ritardi nella crescita del bambino; se ne consiglia, quindi, l’integrazione.

La vitamina D può essere assunta dall’organismo in due modi: attraverso la luce solare o tramite alcuni alimenti di origine animale, principalmente il pesce e l’olio di fegato di merluzzo. Tutti i bambini, ma in particolar modo quelli che seguono un’alimentazione priva di proteine animali, sono a rischio di deficit di vitamina D e questo può comportare diversi problemi, soprattutto a carico dello sviluppo della massa ossea e del sistema immunitario.

Per chi segue una dieta latto-ovo vegetariana alcune importanti fonti alimentari (ma quantitativamente non sufficienti) di vitamina D sono:

  • formaggi, il latte da bere invece non contiene vitamina D a meno che non sia fortificato;
  • uova.

Un recentissimo Documento di Consenso (2015) della Società italiana di Pediatria consiglia la supplementazione di vitamina D (400UI) in tutti i bambini fino al primo anno di età, con la possibilità di salire a 1000UI in presenza di fattori di rischio di carenza (obesità infantile, dieta vegetariana/vegana, scarsa esposizione alla luce solare).

SVILUPPO

Il momento giusto in cui togliere il pannolino di notte è quando il genitore comincia a verificare che un buon numero di volte, al risveglio mattutino, il pannolino è asciutto.
Questo, infatti, è il segno che la vescica ha raggiunto un buon tono muscolare e un volume capace di contenere la pipì per molte ore.

Con il giusto approccio dei genitori, il bambino vive il passaggio dal pannolino al vasino come un gioco e non come un’imposizione. È importante che i genitori si facciano vedere dal figlio mentre usano la tazza del wc: l’imitazione è infatti la spinta più importante a progredire nell’autonomia.

Fino all’acquisizione totale del controllo degli sfinteri, sarà un percorso fatto di successi e insuccessi; il bambino procede nel suo sviluppo, sempre facendo due passi avanti e uno indietro.
Tutto avverrà con naturalezza e senza grandi intoppi, se i genitori si mostreranno felici per i suoi progressi, pazienti per il tempo necessario a raggiungere questa tappa, fiduciosi e non delusi davanti ai suoi fallimenti.
Davanti al buon esito dell’operazione, dirgli “Hai fatto bene!”, lo renderà orgoglioso e desideroso di ripetere. Davanti all’insuccesso, invece, è importante non mostrarsi delusi, ma incoraggianti.

VACCINAZIONI

Il vaccino esavalente viene somministrato in tre dosi tra il 3° e il 13° mese di vita e comprende antipolio con vaccino ucciso, anti difterite, tetano, pertosse, anti epatite B e anti hemophilus.

POLIOMELITE

La poliomielite, un tempo frequente anche nei paesi occidentali, oggi è ancora presente in alcune zone del mondo. È causata da un enterovirus, che si trasmette per via feco-orale, ad esempio per inquinamento dell’acqua. Può avere conseguenze gravi sul sistema nervoso provocando paralisi e, in qualche caso, la morte.
Il vaccino vivo attenuato somministrabile per bocca fu messo a punto nel 1959 dal virologo Albert Sabin. Oggi, in Europa, dove da anni non si registrano casi, si utilizza un vaccino a virus inattivo.

TETANO

Il tetano è causato da un germe – tuttora presente in Italia – che si trova nel terreno e che produce una tossina, la quale prova la malattia, che ha una mortalità superiore al 30%.
Il vaccino è costituito da un’anatossina, cioè una tossina modificata, che non provoca sintomi, ma induce la produzione di anticorpi – ha bisogno di richiami ogni dieci anni. Poiché le spore del tetano sono presenti nel terreno e non sono trasmesse dalle persone, per il tetano non c’è immunità di branco.

DIFTERITE

Un batterio che produce una tossina è all’origine anche della difterite.  Anche la difterite è una malattia grave, che può causare morte per soffocamento o per complicanze cardiache. Il tasso di mortalità è legato alla tempestività delle cure e può variare dal 3% al 23%.  In Italia, dove più del 90% dei bambini, da decenni, è vaccinato, i casi notificati si sono progressivamente ridotti, e dal 1996 non ci sono più state notifiche.

PERTOSSE

La pertosse, detta anche tosse canina, è una malattia infettiva causata dal batterio Bordetella pertussis.
Nel lattante può causare importanti difficoltà respiratorie e persino la morte. La vaccinazione di massa ha permesso di ridurre drasticamente l’incidenza di questa malattia, frequente in Italia fino a pochi decenni fa.
Si registrano però alcuni casi d’infezione fra adolescenti e adulti che non sono stati rivaccinati, e che costituiscono un pericolo per i lattanti non ancora completamente vaccinati. Recentemente ci sono stati casi di morte di lattanti: per questo motivo si raccomanda, anche per gli adulti, in occasione dei richiami anti difterite e tetano, di utilizzare il vaccino trivalente con l’antipertosse.

EPATITE B

Il virus B dell’epatite è una delle maggiori cause di epatite acuta e cronica, cirrosi e carcinoma epatocellulare. Il virus si trasmette tramite il sangue e i liquidi biologici dei soggetti infetti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima attorno a un milione per anno i morti per malattie correlate all’HBV, e approssimativamente in 2 miliardi i soggetti che sono stati infettati, di cui 350 milioni portatori cronici del virus.
La vaccinazione estensiva ha portato a un crollo dell’incidenza della malattia: dal 2003 meno di 0,1 casi/100.000 abitanti, nella fascia di età fra 0 e 14 anni.

HEMOPHILUS

L’Hemophilus b (Hib) è un batterio che causa infezioni spesso severe, soprattutto tra i bambini di età inferiore ai 5 anni. Abitualmente, l’Hib dà una malattia simil-influenzale, che si risolve nel giro di qualche giorno. In alcuni casi, invece, l’infezione può evolvere in forme gravi, soprattutto nei bambini piccoli e negli anziani, oppure in soggetti predisposti.
L’Hemophilus b può essere causa di epiglottite e anche meningite.

Morbillo, rosolia e parotite. Sono queste le tre malattie che il vaccino trivalente consente di prevenire. Viene somministrato ai bambini tra i 12 e i 14 mesi d’età, con una seconda dose verso i 6 anni.

MORBILLO

Il morbillo un tempo era una delle malattie infantili più diffuse. Anche se, nella maggior parte dei casi, guarisce, è caratterizzato, in una percentuale di casi non trascurabile, da complicazioni molto pericolose come otiti, polmoniti, una grave forma di encefalite acuta e la gravissima panencefalite.

ROSOLIA

La rosolia è una malattia che può avere conseguenze gravi per il feto, come la cecità e le malformazioni cardiache, se contratta in gravidanza. La vaccinazione estensiva di tutti i bambini, maschi e femmine, si è dimostrato il solo modo per evitare tali gravi conseguenze.

PAROTITE

Anche la parotite, comunemente conosciuta come “orecchioni” e un tempo diffusa tra i bambini, può portare a gravi complicazioni, fra cui pancreatite, orchite e meningite asettica.

DOLORI

La cefalea è il termine medico che indica il mal di testa.

Le cefalee si dividono in due grandi gruppi: le cefalee primarie (emicrania, cefalea tensiva, cefalea a grappolo), scatenate da fattori di natura chimica oppure ambientale (come ansia, carenza di sonno, alimentazione ecc.), e le cefalee secondarie, che sono sintomo di altri disturbi o di malattie potenzialmente pericolose, quali il trauma cranico, l’ipertensione, l’abuso di sostanze alcoliche od oppiacee, la sinusite, la meningite ecc.

Quando il mal di testa è lieve e occasionale gli attacchi si possono curare con farmaci da banco, meglio se prescritti dal medico di famiglia. Infatti i farmaci auto prescritti o consigliati da persone che soffrono di disturbi che appaiono simili  ai nostri possono non essere quelli adeguati: oltre a non essere efficaci nel combattere il mal di testa, con il tempo possono anche risultare dannosi per la tendenza a prenderne più del dovuto, con il rischio di sviluppare la cosiddetta “cefalea da abuso farmaci”.

Se il dolore è insistente e si presenta con una regolarità e un’intensità tale da rendere difficile lo svolgimento delle attività quotidiane, quando cioè il mal di testa incide sulla qualità della vita, è indispensabile rivolgersi ad uno specialista neurologo, che sarà in grado di diagnosticare correttamente la cefalea del paziente e di individuarne le cause, impostando così un programma di prevenzione e di terapia.

Lo specialista effettua la diagnosi che permette di inquadrare la malattia e le sue cause scatenanti. Questo è essenziale per prescrivere un’adeguata terapia farmacologica, ma anche per avviare un programma di prevenzione che riduca il numero e l’intensità degli attacchi. Oltre ai farmaci, può essere d’aiuto anche cambiare alcune abitudini di vita (per esempio, alimentarsi dormire regolarmente, evitare le situazioni stressanti ecc.) o di alimentazione (individuando ed eliminando alimenti che possono scatenare gli attacchi come i formaggi stagionati, gli insaccati, il cioccolato, gli alcolici ecc.), oppure eseguire tecniche di rilassamento specifico

Se un dolore, in qualsiasi parte del corpo, è costante nel ripresentarsi nel tempo e con le stesse caratteristiche,  va segnalato al pediatra.

La maggior parte delle volte non è preoccupante, può dipendere da errori alimentari, spesso da cattiva e irregolare pulizia intestinale (fare un clistere aiuta e non nuocei). Far visitare dal pediatra immediatamente se:
Dolore appendicolare: raro sotto i 4 anni, acuto ad aumentare in zona prima ombelicale poi a destra, bambino fermo e sofferente, non si fa toccare la pancia.
Dolore testicolare: intenso, testicolo gonfio, rosso o bluastro, bambino non si fa toccare, talvolta zoppica.

Il mal di pancia è una delle patologie che si presenta più frequentemente nei bambini.

Per dolore addominale ricorrente si intende un mal di pancia che si ripresenta almeno una volta al mese o più, per alcuni mesi di seguito, con durata di qualche ora, che modifica la qualità di vita del bambino e di conseguenza allarma i genitori. Il mal di pancia ricorrente riguarda soprattutto i bambini in età scolare.

Non si tratta quindi di: coliche gassose del lattante, dolore addominale durante la gastroenterite (diarrea), dolore addominale acuto con bambino sofferente, immobile, con pianto acuto o lamentoso (attacco appendicite, invaginazione intestinale, occlusione intestinale, volvolo…) da far valutare con urgenza, o di dolore addominale in corso di infezioni febbrili (infezione delle vie urinarie, broncopolmonite, pancreatite…) da far valutare dal pediatra, o di dolore addominale in corso di intossicazioni da alimenti o farmaci, da far valutare con urgenza.

Nel 90% dei casi la causa è funzionale, meno del 10% ha invece origine organica (stitichezza cronica, intolleranza a lattosio, malattia di Crohn, diverticolo di Meckel, calcolosi biliare, parassitosi, più raramente celiachia, infezioni dell’apparato urinario, calcolosi renale, idronefrosi).
L’origine funzionale del disturbo significa che vi è un’alterazione del funzionamento dell’intestino (alterazione della quantità di gas intestinali e/o ipereccitabilità della muscolatura intestinale o del passaggio del materiale fecale…).

Le possibili diagnosi del mal di pancia ricorrente sono: sindrome del colon irritabile; dispepsia non ulcerosa; emicrania addominale o vomito ciclico; dolore peri-ombelicale in particolari occasioni sociali (tensione, nervosismo, intense emozioni).

  • tenere un diarioper un po’ di tempo registrando la frequenza della comparsa del disturbo, il momento della giornata in cui si presenta, la modalità in cui si presenta (con o senza nausea, gonfiore addominale, presenza di vomito, cefalea, relazione con eventi della vita…), le abitudini di evacuazione intestinale ( quotidiana o no, caratteristiche delle feci ), il tipo di alimentazione…;
  • il pediatra deve innanzitutto escludere le cause organiche e arrivare a unadiagnosi precisa;
  • evitare come primo approccio le “etichette psicologiche”(disagio scolastico, gelosia, difficoltà familiari …) prima di avere escluso una causa patologica organica o una causa  funzionale;
  • le forme funzionali si giovano dicorrette abitudini alimentari, di un buono stile di vita e di farmaci opportuni talvolta anche a scopo preventivo per l’insorgenza del dolore: il pediatra caso per caso darà le indicazioni che miglioreranno la qualità di vita del bambino.

È un dolore frequente in età pediatrica e molto raramente è il sintomo di patologie gravi, spesso accompagna le comuni infezioni del bambino (cefalee secondarie).

Cefalee primarie:

  • emicrania: interessa la zona frontale, spesso vi è familiarità, è un dolore pulsante, limita l’attività fisica, spesso accompagnato da nausea, il bambino ricerca il sonno e il buio;
  • cefalea muscolo – tensiva: dolore costrittivo, bilaterale, non limita l’attività fisica.

MALATTIE / DISTURBI

L’acne è una malattia infiammatoria che si manifesta prevalentemente al viso e al tronco. Può colpire a qualunque età, e infatti non viene più definita, come un tempo, acne giovanile. Gli elementi che caratterizzano l’acne sono i comedoni (brufoli), le papule e le pustole e nei casi più complessi, le cisti e i noduli.

Alla base di queste manifestazione c’è la seborrea, cioè l’aumento della secrezione di grasso da parte delle ghiandole sebacee che nei soggetti con l’acne sono iperfunzionanti.

L’aumento della seborrea porta alla formazione dei comedoni (i punti neri) che, per successiva colonizzazione batterica, evolvono in elementi infiammatori, le papule, e in pustole.

Il perché l’acne si manifesta non è a tutt’oggi completamente chiaro: l’acne viene definita una malattia multifattoriale, dove non esiste una singola causa ma un insieme di cause e concause che la favoriscono. Tra queste:

  • ipersensibilità delle ghiandole sebacee agli ormoni sessuali, gli androgeni, che normalmente vengono prodotti sia nell’uomo sia nella donna. Questo non vuol dire che alla base dell’acne ci sia necessariamente  una disfunzione ormonale, anche se tale disfunzione può presentarsi in una piccola percentuale di casi;
  • lo stress, il nervosismo, l’ansia, hanno una doppia correlazione con l’acne, nel senso che lo stress determina un aumento della seborrea, e quindi nei soggetti acneici contribuisce al peggioramento dell’acne, ma è pur vero che spesso è l’acne a provocare  ansia e disagio emotivo, pertanto  si crea un circolo vizioso;
  • ci sono persone più predisposte di altre ad ammalarsi di acne, infatti spesso vi è unapredisposizione familiare;
  • altre cause che entrano nell’eziologia dell’acne possono essere:fumo, disturbi ormonali e malattie metaboliche;
  • la dieta, un tempo indicata come una delle cause determinanti dell’acne, in realtà non è un fattore scatenante, ma si è visto che nellediete ricche di farinacei e carboidrati raffinati si ha un’aumentata stimolazione di insulina che provoca un aumento degli ormoni sessuali che a loro volta stimolano le ghiandole sebacee.

Ci sono alcune regole importanti da seguire nella gestione dell’acne:

  • rivolgersi a unospecialista dermatologo che in base al tipo di acne può prescrivere la terapia più idonea;
  • sole: bisogna sempre esporsi proteggendo la pelle acneica in quanto i raggi ultravioletti, favorendo la formazione di comedoni, peggiorano l’acne;
  • premere i comedoni è sbagliatoin quanto residuano macchie e cicatrici;
  • make up: è consentito ma è di fondamentale importanza utilizzareprodotti non comedogenici che possano indurre l’eccesso di secrezione sebacea e quindi la formazione di impurità. È importante quindi evitare siliconi e petrolati, e favorire, ad esempio, fondotinta con pigmenti minerali che, contenendo pigmenti naturali privi di conservanti, non inducono iperseborrea. Il make up infatti può aiutare ad accettare la malattia senza causare un disagio sociale;
  • lecicatrici dell’acne si possono trattare (con peeling di vario tipo o con i laser) ma si tratta di terapie lunghe che vanno praticate solo da mani esperte. Questo tipo di trattamento va intrapreso però solo quando l’acne è guarita, infatti, se si agisce quando l’acne è ancora in fase attiva, con questo tipo di trattamenti aggressivi si possono creare danni.

Esistendo molte varianti di acne, dall’acne comedonico, papuloso, pustoloso, a forme molto più severe come l’acne nodulocistica, conglobata, i trattamenti per l’acne sono estremamente vari e spesso vengono gestiti da più specialisti, come per esempio nella donna, dal ginecologo.

Il dermatologo, dopo un’attenta diagnosi, è in grado di indicare la terapia specifica:

  • detersioneprofonda ma non aggressiva;
  • gestione localecon alternanza di prodotti esfolianti, antibiotici ecc , senza sottovalutare l’importanza dell’idratazione;
  • l’uso talvolta diantibiotici per via sistemica o nelle forme più severe di farmaci quali l’isotretinoina che richiede, per gli effetti collaterali e le controindicazioni, una gestione attenta e costante da parte del dermatologo;
  • terapia fotodinamicaper eliminare le lesioni dell’acne.

L’alitosi è un disturbo molto diffuso aumenta con l’età.

L’alitosi può essere causata da problemi nella digestione, malattie polmonari o sistematiche ma, per il 90% dei casi la causa è la presenza di batteri e residui di cibo su denti, lingua, guance e tonsille e quindi a una cattiva igiene orale.

  • lava i denti almeno 2 volte al giorno (dopo i pasti), usando un dentifricio al fluoro;
  • assicurati di spazzolare bene lungo il bordo della gengiva e sulla superficie dei denti. Dopo aver spazzolato i denti,spazzola anche la lingua, in particolare nella parte più vicino alla gola (meglio sarebbe con un pulisci-lingua);
  • usa ilfilo interdentale o gli scovolini almeno 1 volta al giorno per rimuovere i residui di cibo fra i denti;
  • mangia più frutta e verdura tutti i giorni ediminuisci il consumo di carne;
  • elimina i cibi contenenti cipolla, aglio e altri condimenti in grado di peggiorare l’alito;
  • se fai uso di uncollutorio assicurati di sciacquare per almeno 30 secondi prima di sputare;
  • se fai suo di protesi o dentiera disinfettala spesso, se possibile dopo ogni pasto, lasciandola a bagno in una soluzione disinfettante dopo averla spazzolata;
  • sottoponiti  alla pulizia dei denti dal tuo dentista 2 volte l’anno.

L’alopecia areata è una perdita improvvisa di capelli o di peli, in qualsiasi area del corpo, seguita, nella maggioranza dei casi, da una ricrescita spontanea. La causa è quasi sempre di natura psicologica. L’alopecia areata colpisce circa una persona su 100. Colpisce ugualmente maschi e femmine. Le cause dell’alopecia areata sono ancora largamente sconosciute. Si considera una generica predisposizione per questo tipo di caduta dei capelli perché, in alcuni casi, più membri di una stessa famiglia soffrono o hanno sofferto di alopecia areata. Secondo alcuni sarebbe da considerarsi una malattia di tipo autoimmunitario. Nella maggioranza dei casi, prima della comparsa della chiazza di alopecia, è avvenuto un trauma psichico o un periodo di particolare stress. L’alopecia areata si presenta come una chiazza rotonda od ovale, una zona ben delimitata dove mancano i capelli o i peli. Non dà sintomi e non modifica la pelle. Nel 90% dei casi l’alopecia areata si presenta come una singola chiazza sul cuoio capelluto. In altri casi le chiazze sul cuoio capelluto sono più di una fin dall’inizio; a volte si presenta una sola chiazza e dopo se ne aggiungono altre. L’alopecia areata che colpisce il cuoio capelluto può anche essere generalizzata, e in questo caso cadono tutti i capelli. In questo caso si parla di alopecia areata totale. L’alopecia areata può interessare anche il 100% dei peli del corpo, oltre che dei capelli, e in questo caso prende il nome di alopecia areata universale. Nel 5% dei casi di alopecia areata totale il paziente peggiora e passa all’alopecia areata universale. In casi rari l’alopecia areata si presenta a striscia e non in forma circolare: in questo caso prende il nome di ofiasi.

capelli alla periferia della chiazza si staccano facilmente e sembrano come tanti “punti esclamativi”, cioè si assottigliano verso la radice e il bulbo sembra un puntino. Nella chiazza la caduta dei capelli a volte non è totale, ma alcuni peli resistono e di solito diventano bianchi. L’alopecia, frequentemente, appare nella zona della barba, con aspetto di chiazza tonda come una moneta. In alcuni casi l’alopecia areata si manifesta contemporaneamente sul cuoio capelluto e nell’area della barba. Una singola chiazza di alopecia areata può comparire anche in varie zone pelose del corpo, senza però comparire sul cuoio capelluto o nell’area della barba. Spesso l’alopecia areata colpisce le ciglia e le sopracciglia. Quando l’alopecia areata è totale o universale, capita spesso che si rovinino le unghie delle mani e dei piedi, apparendo fragili e opache, come se fossero stata trattate con carta abrasiva.

L’ansia e la paura sono stati emotivi radicati nella natura umana che implicano l’attivazione delle risorse individuali contro uno stimolo avverso, e hanno la finalità di aumentare la possibilità di affrontare con successo lo stimolo che lo ha indotto.
In particolare, l’ansia è uno stato di allerta verso un pericolo generico, mentre la paura è uno stato emotivo preparatorio alla risposta a un pericolo specifico.

I disturbi d’ansia sono la patologia psichiatrica più diffusa. In Italia oltre 2,5 milioni di persone adulte ne sono affette ogni anno, e oltre 8,5 milioni di persone soffrono di un disturbo d’ansia nel corso della loro vita.

Ansia, paura e panico non sono né sinonimi, né intensità differenti del medesimo fenomeno: sono elementi del vissuto emotivo qualitativamente differenti fra loro.

Ansia e paura diventano condizioni patologiche se rappresentano una risposta di allerta esagerata o inopportuna rispetto allo stimolo, come per esempio nel caso delle fobie (per esempio fobia delle cavallette, dei serpenti, delle iniezioni) e della preoccupazione catastrofica, presente sempre e comunque nel caso della cosiddetta “ansia generalizzata” (per esempio paura per le novità, paura perché si possa verificare un evento sfavorevole seppur remoto, ecc.) , oppure in assenza di stimolo, come nel caso dell’attacco di panico.

Il neonato nei primi mesi di vita può presentare nel sonno dei momenti di apnea. Nella maggior parte dei casi non è nulla di preoccupante, ma è importante che voi osserviate la durata:

  • fino a durata di 10 secondi non fate nulla;
  • per durata oltre i 10 secondi parlatene con il vostro pediatra;

Per le apnee da ostruzione nasale cronica (riniti allergiche,adenoidismo ) che causano sonno irrequieto, disturbato, non rigenerante, parlatene con il vostro pediatra. Per le apnee da pianto (spasmi affettivi) dei primi anni di vita che possono portare anche fino allo svenimento e alla cianosi orale comportatevi così:

  • non preoccupatevi, non causano alcun danno alla salute;
  • cercate di capire che cosa scatena crisi di pianto così intense e cercate di prevenire (non significa acconsentire a ogni richiesta !);
  • prendete in braccio il bimbo e mettetelo in posizione orizzontale, quindi non schiaffetti in viso e non posizione verticale;
  • parlategli con molta calma e poi fategli bere dell’acqua.

Nei primi anni di vita le infezioni respiratorie sono molto più frequenti rispetto all’adulto sano o al bambino in età scolare. Questo dipende dal fatto che il sistema immunitario non è ancora perfettamente efficiente. Può capitare che un’infezione virale, anche lieve e che guarisce da sola, provochi una difficoltà a respirare dovuta a una parziale ostruzione dei piccoli bronchi. Questa situazione è definita bronchite asmatica broncospasmo o fischio.

sintomi possono essere più o meno importanti, dalla tosse secca insistente a un affanno evidente. Ciò che è sempre presente è un “fischietto” espiratorio che può essere percepito dai genitori anche senza alcuno strumento.

La bronchite asmatica virale non è la stessa cosa dell’asma, anche se i bambini che poi diventeranno asmatici di solito cominciano con episodi di questo tipo. Il bambino ha dei bronchi piccoli, che si ostruiscono facilmente, non solo per un’eccessiva reattività dei muscoli, ma anche per l’aumento del muco che si accompagna sempre al raffreddore. Individuare da subito quali bambini, fra quelli che hanno bronchiti asmatiche, avranno problemi di asma non è sempre facile. La frequenza e l’importanza degli episodi, il fatto che la mamma o il papà siano asmatici, l’età di esordio sono fattori di rischio, ma non è detto che chi presenta dei fattori di rischio poi diventi effettivamente asmatico. In generale si può dire che un bambino che ha presentato, magari nei primi diciotto mesi di vita, quando è più facile che i bronchi si ostruiscano, uno o due episodi di fischietto in corso di raffreddore e non ha genitori allergici, ben difficilmente soffrirà d’asma crescendo. Se invece gli episodi sono frequenti o gravi o sono presenti altri fattori di rischio, è opportuna una valutazione allergologica che consenta una diagnosi il più possibile precoce.

Le candidosi, o candida, sono affezioni determinate da lieviti appartenenti al genere Candida, famiglia Cryptococcaceae, che possono interessare la cute, le unghie, le mucose e, raramente, gli organi interni. Si riconoscono diverse specie di Candida: la più frequente è Candida albicans, l’agente responsabile della maggior parte delle manifestazioni patologiche cutanee e mucose.

Le principali forme cliniche di candida che si possono osservare nei bambini sono:

  • candidosi cutanea congenita(non molto frequente: l’infezione materna risale la vagina e causa una candidosi congenita in utero);
  • candidosi neonatale(forma acquisita che viene contratta dal feto durante il passaggio nel canale del parto);
  • candidosi della regione ano-genitale;
  • candidosi del cavo orale o mughetto (una della forme più frequenti);
  • candidosi muco-cutanee croniche(associate a stati di immunodeficienza).

La candidosi della regione ano-genitale, o candida da pannolino, è relativamente frequente nel neonato e nella prima infanzia, e si localizza a livello dell’area del pannolino.

Generalmente inizia con interessamento della regione perianale e si estende alle regioni inguinali, ai genitali e ai glutei. Insorge più frequentemente fra il primo e il quarto mese di vita ed è spesso l’evoluzione di una dermatite irritativa o di una dermatite seborroica.

Le lesioni iniziali sono delle piccole vescicole o vescico-pustole, di colorito biancastro che, rompendosi, danno luogo a erosioni circondate da un collaretto epidermico. L’area interessata dalla candidosi si presenta arrossata, talvolta essudante e macerata, leggermente erosa.

Le pieghe perianali sono molto pronunciate e sul fondo delle pieghe inguinali si evidenziano degli spacchi ragadiformi. Possono essere presenti delle lesioni vescico-pustolose satelliti integre. Tali lesioni sono pruriginose e dolorose e il bambino spesso piange quando a contatto con acqua, sapone, urine e feci.

Una complicanza frequente può essere l’estensione delle manifestazioni alla cute dell’addome, rara è la disseminazione a tutto l’ambito cutaneo.

Può essere associata un’enterite virale. Generalmente le candide provengono dal tubo gastroenterico.

La prima cosa da fare è rivolgersi al medico per una diagnosi corretta e per non rischiare di confonderla con altre malattie della pelle simili.

Se non trattata, la malattia può assumere un decorso cronico recidivante. Può risolversi spontaneamente una volta che il bambino interrompe l’utilizzo dei pannolini.

La celiachia è un’intolleranza permanente e irreversibile (allo stato attuale della scienza medica) dell’organismo umano al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, grano khorasan (nome commerciale: Kamut), orzo, segale, spelta e triticale.
L’incidenza in Italia di questa intolleranza è stimata in un soggetto ogni 100 persone.
Per curare la celiachia occorre escludere dal proprio regime alimentare non solo alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche la più piccola traccia di glutine nel piatto.
La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia che garantisce al celiaco un perfetto stato di salute.

Nel bambino allorché, all’introduzione del glutine, si dovesse riscontrare diarrea, vomito, arresto della crescita o calo ponderale.
Nell’adulto può comparire subdolamente a qualsiasi età, spesso dopo un evento stressante, un intervento chirurgico o un’infezione intestinale, con manifestazioni cliniche molto varie: dal quadro più grave di malassorbimento di fattori nutritivi multipli tra i quali il ferro e il calcio, a sintomi aspecifici gastroenterici quali crampi, dispepsia e disconfort addominale fino a sintomi neurologici e psichici.

Oggi è possibile effettuare la diagnosi sierologica con un prelievo di sangue che dosa specifici anticorpi: AGA (anticorpi antigliadina), EMA (anticorpi antiendomisio) e ATG (antitransglutaminasi).
La conferma è ottenuta dalla  biopsia della mucosa duodenale in corso di una normale gastroscopia che rivela l’appiattimento della mucosa e presenza di linfociti in quantità anomala.

La completa esclusione del glutine dalla dieta, obiettivo per una cura certa, non è facile da realizzare.
Il celiaco deve imparare a distinguere, anche con l’aiuto di indicazioni e di preparati di società produttrici specializzate, tra alimenti permessi, alimenti vietati e alimenti a rischio. Questi ultimi sono quelli che potrebbero contenere tracce di glutine perché “lavorati” con modeste quantità di glutine o preparati in ambiente contaminato da glutine.
Il decreto legislativo del 27 gennaio 1992 prevede che tutti gli alimenti senza glutine siano prodotti in stabilimenti autorizzati. La dicitura: prodotto senza glutine implica sempre un’autorizzazione ministeriale.
La legge quadro ministeriale, del 2005, garantisce alla persona affetta da celiachia un’alimentazione adeguata mettendo a disposizione gratuitamente prodotti senza glutine; assicura inoltre pasti senza glutine nelle mense di strutture pubbliche, scolastiche e ospedaliere, su richiesta medica specifica.

L’AIC, Associazione Italiana Celiachia, (www.celiachia.it) è a disposizione di chiunque abbia dubbi su eventuali sintomi e sulla malattia. Offre inoltre risposte pratiche ed esaurienti su diagnosi, centri specializzati, alimenti e stile di vita.

La cheratosi seborroica è un tumore benigno della pelle che si manifesta con una chiazza di colore giallo brunastro a limiti netti e dalla superficie rugosa. È una patologia molto frequente nella popolazione adulta e anziana, ed è presente in egual modo in entrambi i sessi. Si osserva più comunemente al volto e al tronco.

Le cause sono ancora oggetto di studio. Come fattore di rischio è confermata la familiarità, anche per il numero e la localizzazione delle chiazze.

Le terapie che si utilizzano solitamente sono:

  • courettagedelle lesioni senza necessità di anestesia locale (asportazione manuale mediante una sorta di bisturi con forma ad anello);
  • diatermocoagulazione (applicazione di corrente ad alta frequenza concentrata in un punto);
  • crioterapia(congelamento a freddo con azoto liquido).

Le lesioni possono essere anche ridotte tramite l’impiego di topici cheratolitici che sono in grado di sciogliere lo strato più superficiale della cute, come vaselina salicilica e creme con alte concentrazioni di urea.

Si tratta di crisi convulsive che insorgono in corso di febbre (in genere nella fase di risalita rapida della temperatura), nel bambino tra i 6 mesi e i 5 anni che non ha alcuna problematica neurologica concomitante e che non ha già presentato in precedenza episodi convulsivi in assenza di febbre. L’evento è causato dal fatto che il rialzo termico accentua l’attività neuronale e abbassa la soglia di eccitabilità. Le cause scatenanti più frequenti sono:

  • le infezioni delle vie aeree superiori e la fase altamente febbrile pre-esantematica della sesta malattia;
  • una predisposizione genetica accertata.

Sono chiamate convulsioni  benigne poiché si risolvono spontaneamente nell’arco di pochi minuti e non lasciano nessun danno neurologico né nell’immediato né a distanza, sono spesso generalizzate (perdita di coscienza, ipertono con scosse toniche-cloniche agli arti, bava alla bocca ecc.). Per il genitore che vi assiste sono un evento drammatico, ma è quasi sempre di scarsa utilità recarsi in Pronto Soccorso poiché la crisi si risolverà prima dell’arrivo. Non perdere la calma, tenere il bambino adagiato sul fianco per facilitare la respirazione evitando la caduta della lingua all’indietro, se  ancora non è stato fatto, somministrare un antipiretico per via rettale. Contattare il proprio pediatra. È opportuno recarsi in ospedale se la crisi dura più di 10 minuti e/o se si ripete. I genitori dei bambini sotto i 5-6 anni che in caso di febbre elevata tendono a convulsivare, devono sempre avere nella farmacia di casa i microclismi di Micronoan da somministrare: dose 5 mg fino ai 3 anni di età, dose 10 mg dai 3 anni in su.

La dermatite da pannolino è un’affezione superficiale della pelle che compare sopratutto nella zona genitale del bambino dopo esposizione ad agenti di natura chimica (detergenti, creme, etc), fisico-chimica (pannolino) o biotica (urina e feci). Può avere decorso acuto, subacuto o cronico.

Ne esistono due forme:

  • dermatite irritativada contatto, dovuta al danno diretto sulla cute;
  • dermatite allergicada contatto, che presuppone una pregressa sensibilizzazione.

La dermatite irritativa si può osservare in tutte le età, mentre la dermatite allergica è rara nei bambini al di sotto dei 5 anni e del tutto eccezionale al di sotto dell’anno di vita.

La dermatite irritativa può insorgere dopo il primo contatto con l’agente irritante o dopo più contatti ravvicinati con irritanti deboli e può avere quadri di intensità differenti.

Le zone interessate sono volto, mani, piedi e zona del pannolino. Il quadro classico è generalmente di lesioni eritematose o eritemato-vescicobollose. Esiste anche una forma subacuta o cronica in cui compaiono eritemavescicoleessudazioneinfiltrazione, xerosi, ipercheratosi e fissurazione.

La dermatite seborroica si manifesta con la presenza di pelle arrossata ricoperta da squame giallastre e untuose sul cuoio capelluto. La dermatite seborroica si esprime nei primi 3 mesi di vita: è dovuta infatti a un’aumentata attività degli androgeni, trasmessi dalla madre al neonato attraverso la placenta, la cui azione sulla pelle si esaurisce, appunto, entro il primo trimestre di vita. Dopo i tre mesi, questi sintomi vanno inquadrati come sebopsoriasi.

La dermatite seborroica parte dal cuoio capelluto, ma può estendersi anche a livello del viso (arcata sopracciliare, fronte e guance), alle pieghe (collo, regione ascellare, inguinale e del pannolino).

  • dermatite atopica: l’infiammazione e l’essudazione in questo caso sono di minor intensità e ha un minore rischio di andare incontro a fenomeni di sovrainfezioni batteriche. Inoltre, alla dermatite atopica si accompagna un intenso prurito, assente nella dermatite seborroica;
  • sebopsoriasi: può essere confusa facilmente con la dermatite seborroica nel primo trimestre di vita; nella psoriasi, però, le manifestazioni sono meno essudanti e l’eritema sottostante è ricoperto in modo uniforme da squame biancastre. Nella dermatite seborroica, invece, le squame sono giallognole e non ricoprono uniformemente l’eritema.

La dermatite seborroica scompare, anche se non trattata, dopo il quarto mese di vita. Per ammorbidire le squame, che non vanno mai strofinate o asportate in modo energico, può essere sufficiente l’utilizzo di oli contenenti vitamina E, applicati un’ora prima del bagnetto.

Possono essere usati anche prodotti contenenti urea al 5% o acido salicilico 1% per facilitare il distacco delle croste.

Può essere utile, in alcuni casi, anche l’utilizzo di antimicotici. Nel lattante non si utilizzano mai terapie con retinoidi, antimicotici per via orale e fototerapia con ultravioletti, come nella psoriasi.

L’epatite è un’infiammazione che colpisce il fegato. Nella maggior parte dei casi è causata da virus, ma all’origine possono esserci talvolta anche l’abuso di sostanze tossiche (alcol soprattutto) o malattie autoimmuni.

I virus che causano l’epatite sono diversi: i 5 più diffusi sono il virus A, il virus B, il virus C, il virus D e il virus E e sono rispettivamente all’origine dell’epatite A, B, C, D ed E. Le epatiti si differenziano, oltre che per l’eziologia (l’insieme delle cause che le procurano), anche per le vie di trasmissione, i sintomi e il decorso.

L’epatite B e l’epatite C sono le più pericolose perché portano allo sviluppo di malattie croniche e sono insieme la prima causa di cirrosi epatica e cancro al fegato. La maggior parte delle volte l’epatite B viene debellata dall’organismo nell’arco di 6 mesi e diventa cronica solo nel 5% dei casi. L’epatite C invece diventa cronica nel 70% dei casi.

Le modalità di trasmissione variano da tipo a tipo: può avvenire attraverso alimenti o acqua contaminati, per via parenterale(iniezioni, fleboclisi, innesti ecc), attraverso scambi o trasfusioni di sangue, durante operazioni mediche invasive con materiale infetto, con rapporti sessuali e, per l’epatite B, da madre a figlio.

Le cinque varianti della malattia possono non essere accompagnate da alcun sintomo, come anche manifestarsi con sintomi lievi o ancora con sintomi gravi come ad esempio ittero (colorazione giallastra della pelle e degli occhi), urine scurefaticanausea,vomito e dolori addominali. Anche quando si manifestano, tuttavia, i sintomi durano solo per la fase acuta della malattia e poi scompaiono anche se la malattia è ancora in corso e diventa cronica: in caso di sintomi come quelli elencati è quindi bene chiedere un parere al medico e sottoporsi ad esami diagnostici specifici.

Per l’epatite A e B sono stati messi a punto vaccini efficaci e sicuri. Per l’epatite B il vaccino è obbligatorio in età pediatrica. Il vaccino per l’epatite B protegge inoltre anche contro l’epatite D. Il vaccino per l’epatite A non è obbligatorio, ma è fortemente consigliato in caso di viaggi in zone in cui la malattia è molto diffusa come Africa, Asia, Medio Oriente, Sud e Centro America e bacino del Mediterraneo. Recentemente è stato elaborato un vaccino per l’epatite E, ma non è ancora stato diffuso.

Per l’epatite C non esiste alcun vaccino e non esiste un intervento di prevenzione specifico. L’unico modo per ridurre il rischio di infezione è usare siringhe monouso, prestare attenzione a possibili vie di contagio se si vive con persone affette (rasoi, forbici, spazzolini), usare il preservativo durante rapporti sessuali promiscui o in caso di lesioni genitali e in generale evitare il contatto con sangue infetto.

L’epatite B si diagnostica con gli esami del sangue. Poiché spesso non mostra sintomi, può capitare che si scopra di aver avuto l’epatite B o che si scopra di aver già sviluppato la forma cronica (più rara) per caso grazie a un esame diagnostico di routine.

La diagnosi per l’epatite C viene fatta con un esame del sangue specifico che tuttavia in alcuni pazienti può risultare negativo fino a un anno dopo l’infezione. Dopo aver accertato la presenza del virus, può essere necessaria una biopsia del fegato.

Chi riceve una diagnosi di epatite C può continuare a condurre la propria vita quotidiana con alcuni accorgimenti:

  • abolizione di bevande alcolichedalla dieta
  • attenzione a un’alimentazione bilanciatae sana
  • non scambiareoggetti taglienti (raso, forbici, etc) con altre persone
  • usare ilprofilattico in caso di rapporti sessuali occasionali (non è necessario all’interno di coppie stabili monogame)

Si tratta di un’emorragia nasale del bambino, più spesso anteriore (parte antero-inferiore del setto nasale). Cause locali: rinite allergica, infezioni nasali, traumi, corpi estranei, manovre digitali di pulizia del naso. Non sono necessarie indagini nelle epistassi occasionali o di modeste entità. tenere il bambino in posizione eretta, con il capo leggermente reclinato in avanti per evitare che il sangue scenda nella faringe;

  • se ne è capace, far soffiare il naso in modo robusto (si espellono eventuali piccoli coaguli che farebbero poi ripartire l’epistassi);
  • comprimere tra pollice e indice le ali del naso, sul setto, per circa 10 minuti;
  • se l’emorragia persiste, recarsi in ospedale perché venga effettuato un tamponamento nasale anteriore che andrà mantenuto per almeno 2 giorni.

Anche le epistassi ricorrenti in genere si fermano da sole e solo raramente indicano una patologia sottostante. Uno specialista otorinolaringoiatra consiglierà il trattamento più idoneo.

L’ernia inguinale è una condizione in cui si ha la fuoriuscita di componenti della cavità addominale, solitamente il peritoneo (una membrana che avvolge gli organi dell’addome) o l’intestino, attraverso il canale inguinale.

Il canale inguinale è situato alla radice delle cosce ed è, soprattutto nel maschio, una zona di debolezza della parete addominale che frequentemente può diventare luogo di ernia inguinale.

L’ernia crurale o femorale è invece quella condizione in cui si ha il passaggio di peritoneo e/o intestino attraverso la porta crurale, un orifizio che fa da passaggio ai grossi vasi della coscia, appena al di sotto del canale inguinale.

Circa il 25% degli uomini e il 2% delle donne sviluppano un’ernia inguinale nel corso della vita. Un’ ernia inguinale può presentarsi in età giovanile soprattutto negli atleti che eseguono quotidianamente sforzi e attività fisica.

L’ernia crurale invece è molto più frequente nelle donne.

Si definisce riducibile un’ernia che può essere reintrodotta in addome con una leggera pressione. Irriducibile o incarcerata è un’ernia, solitamente a contenuto intestinale o peritoneale, che non si riesce a riposizionare in addome.

In questi casi può succedere che l’apporto di sangue all’intestino erniato venga impedito o ridotto e quindi vada in sofferenza. Si parla di ernia strangolata o strozzata con necessità di un intervento chirurgico urgente.

sintomi dell’ernia inguinale e crurale sono:

  • Comparsa di unatumefazione nella regione dell’inguine e del femore che nel maschio può coinvolgere lo scroto  Solitamente la tumefazione è più evidente in posizione eretta e dopo colpi di tosse o contrazione della parete addominale;
  • Senso di peso doloroso ocrampi che partono dalla regione inguinale e si irradiano alla radice della coscia e ai genitali esterni. Il dolore può essere prevalente alla fine della giornata o dopo prolungata attività fisica;
  • Se il dolore diventa significativo e rapidamente insostenibile, con impossibilità di ridurre l’ernia in addome, è probabile che l’ernia sia in fase di strangolamento. Tale condizione richiede di recarsi inPronto Soccorso per il trattamento immediato.
  • Obesità: causa un aumento della pressione addominale che si esercita direttamente sulle zone di debolezza della parete (canale inguinale);
  • Sforzosignificativo improvviso (trazione o contrazione) che coinvolga direttamente la parete addominale inferiore;
  • Contratturaaddominale cronica (bronchite cronica, stipsi cronica…);
  • Familiaritàdi malattia erniaria;

 

La valutazione clinica è l’unico esame necessario per fare diagnosi di ernia inguinale e crurale. Talvolta l’ecografia dei tessuti molli o la TC/risonanza addome possono essere di supporto nelle condizioni in cui i sintomi sono ambigui.

L’unica possibilità di trattamento definitivo di un’ernia inguinale o crurale è un intervento chirurgico per reintrodurre eventuali visceri erniati in addome.

La tecnica laparoscopica viene eseguita mediante l’esecuzione di alcune piccole incisioni cutanee a livello dell’ombelico e dei quadranti addominali inferiori. Attraverso una strumentazione apposita  viene introdotta anidride carbonica nella cavità addominale o nello spazio preperitoneale e attraverso una piccola telecamera è possibile ispezionare dall’interno la regione inguinale.

Importante ricordare che:

  • la febbre è un alleato alla guarigione nelle più frequenti infezioni che colpiscono i bambini, perché ostacola, insieme ad altre reazioni del corpo, la moltiplicazione dei germi e accelera i meccanismi di difesa;
  • la febbre va abbassata con le medicine (paracetamolo) quando supera i 38° C;
  • il paracetamolo per abbassare la febbre, a dosi prescritte in base al peso del bambino, può essere ripetuto fino a 4 volte al giorno a intervalli di 5-6 ore;
  • per favorire la dispersione del calore è bene non coprire troppo il bambino;
  • fin dall’età neonatale, e a seguire negli anni, misurare la febbre utilizzando un termometro ascellare elettronico;
  • far bere di frequente piccole quantità di liquidi anche zuccherati;
  • non costringere il bambino a mangiare, ma dargli piccoli spuntini di frutta, crackers, grissini, fette biscottate;
  • nei primi 12 mesi di vita il bambino va visto dal pediatra;

L’influenza è un’infezione respiratoria acuta, di origine virale, ad andamento tipicamente stagionalealtamente contagiosa e trasmissibile per via aerea. In Italia è più frequente nei mesi invernali.

Spesso vengono impropriamente etichettate come “influenza” diverse affezioni delle prime vie respiratorie, sia di natura batterica che virale, che possono presentarsi con sintomi molto simili.
Nello stesso periodo dell’anno in cui la circolazione dei virus influenzali è massima (in Italia solitamente da dicembre a marzo) possono contemporaneamente circolare molti altri virus che provocano affezioni del tutto indistinguibili, dal punto di vista clinico, dall’influenza.

La vaccinazione costituisce la principale misura di prevenzione.

sintomi dell’influenza sono comuni a molte altre malattie: febbre, mal di testa, malessere generale, tosse, raffreddore, dolori muscolari e articolari. Soprattutto nei bambini si possono manifestare anche sintomi a carico dell’apparato gastro-intestinale (nausea, vomito, diarrea).

L’influenza si trasmette per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, lo starnuto o anche semplicemente parlando.
Il periodo di contagiosità comincia un po’ prima che si manifestino i primi sintomi e si prolunga per 5-7 giorni; solitamente il periodo di contagiosità è un po’ più lungo nei bambini che negli adulti.
Il periodo di incubazione dell’influenza è molto breve, da 1 a 4 giorni (in media 2).

Il virus dell’influenza, che resiste molto bene nell’ambiente esterno in situazioni di bassa temperatura ed umidità, si diffonde facilmente negli ambienti affollati.

Le complicanze dell’influenza vanno dalle polmoniti batteriche, alla disidratazione, al peggioramento di malattie preesistenti (ad esempio malattie croniche dell’apparato cardiovascolare o respiratorio), alle sinusiti e alle otiti (queste ultime soprattutto nei bambini).

In caso di sintomatologia influenzale è opportuno rivolgersi al proprio medico curante.
Nei confronti dell’influenza può essere messa in atto una terapia sintomatica, con farmaci antipiretici (che abbassano la febbre), analgesici (che agiscono sul senso di malessere, sulla cefalea e sui dolori articolari e muscolari) e antinfiammatori.
Il trattamento dei sintomi e il riposo (per 24-48 ore dopo la scomparsa della febbre) sono sufficienti nella maggior parte dei casi di influenza non complicata; in presenza di complicanze (polmonari o di altro tipo) va naturalmente prescritta e somministrata una terapia specifica sotto controllo medico.

Gli antibiotici sono attivi solo contro le infezioni batteriche e perciò, nell’influenza, patologia di origine virale, non hanno alcun effetto.

Costituiscono comunque un presidio molto importante in caso di complicanze batteriche, che possono verificarsi nel corso della malattia, soprattutto in soggetti predisposti, a causa di fattori di rischio o di malattie concomitanti; è importante evitarne l’uso indiscriminato e l’indicazione al loro uso va riservata al medico.

La vaccinazione antinfluenzale rappresenta il mezzo più efficace e sicuro per prevenire la malattia e le sue complicanze.

I vaccini antinfluenzali, la cui composizione può variare di anno in anno, a seconda delle caratteristiche dei ceppi di virus influenzali circolanti, riducono la mortalità legata all’influenza del 70-80% (fonte OMS) in quanto, anche se non sempre riescono a prevenire l’infezione, agiscono riducendo in modo sostanziale la frequenza delle sue complicazioni

Il vaccino antinfluenzale è indicato per tutti i soggetti che desiderano evitare la malattia influenzale e che non abbiano specifiche controindicazioni.

Le infezioni respiratorie sono ricorrenti nei bambini perché non hanno ancora un sistema immunitario maturo.
“Il mio bambino ha la tosse da tre mesi”, “il mio bambino è sempre malato”.
bambini si ammalano più spesso degli adulti, soprattutto se sono piccoli, se frequentano l’asilo nidose vivono in una città.
Quasi sempre si tratta di un fenomeno assolutamente normale. Il sistema immunitario di un bambino sotto i due anni non ha ancora raggiunto la sua maturità e soprattutto non ha ancora avuto modo di entrare in contatto con virus e batteri, quindi non è in grado di riconoscerli subito e reagire prontamente. In un certo senso, i bambini devono ammalarsi, fa parte della crescita.

È possibile riconoscere ed eliminare i fattori di rischio, come il fumo passivo e insegnare una corretta igiene delle alte vie aeree. Le infezioni virali, anche i semplici raffreddori, riducono i meccanismi locali di difesa e favoriscono l’attecchimento dei batteri. Un bambino che rientra all’asilo nido appena scende la febbre, magari quando ancora tossisce un po’, sembra stanco e non riposa bene, è probabile che si ammali di nuovo nel volgere di pochi giorni.
Naturalmente, esistono casi in cui le infezioni respiratorie ripetute sono la spia di un problema, per esempio un difetto, magari transitorio, del sistema di difesa, oppure una malformazione o una malattia di base che deve essere diagnosticata e affrontata. Questi casi vanno riconosciuti tempestivamente.

L’insonnia è un disturbo persistente che può rendere difficile addormentarsi, restare addormentati o entrambi, anche in circostanze che garantiscono tutte le condizioni per un sonno adeguato. Chi soffre d’insonnia, di solito, si risveglia stanco e questo influisce sulla capacità di svolgere le normali attività durante il giorno.

L’insonnia influenza negativamente non solo il livello d’energia e l’umore, ma anche la salute, le prestazioni di lavoro e la qualità della vita.

Evitare di fare i conti con notti insonni si può. Ecco qualche consiglio (solo apparentemente semplice da mettere in pratica) che, se seguito con costanza, cambierà le vostre abitudini quotidiane e vi aiuterà a gestire il problema.

  • Sistemare la camera da letto in modo che sia solo la stanza per dormire: niente televisore, computer o altre cose che possano stabilire legami tra un’attività non rilassante e il sonno. Ci deve essere solo l’essenziale per dormire, cioè un letto comodo. Non lavorare, mangiare o guardare la televisione a letto.
  • La stanza da letto dev’essere buia, silenziosa e con la giusta temperatura e umidità.
  • Dopo cena, evitare di bere caffé, té, Coca-cola, cioccolata o altre bevande contenenti caffeina. Sostituire queste bevande con tisane o infusi di erbe rilassanti.
  • Mangiare leggero a cena, quindi niente cibi ipercalorici o comunque abbondanti e ad alto contenuto di proteine (carne e pesce).
  • Evitare sonnellini diurni, a eccezione di un breve sonnellino dopo pranzo. Meglio non addormentarsi sul divano davanti alla tv; se capita spesso allora è meglio anticipare il momento di andare a letto.
  • Evitare di fare sport nelle ore serali. Meglio nel tardo pomeriggio.
  • Per rilassarti è utile un bagno caldo, meglio una o due ore prima di andare a dormire.
  • Prima di dormire evitare attività che possano svegliare la mente, come studiare o lavorare, usare il computer o videogiochi.
  • Cercare di andare a letto e svegliarti in orari regolari e costanti nel tempo. Stabilire un orario però non significa constringersi a letto anche quando non si ha per niente sonno.
  • Non allungare eccessivamente il tempo trascorso a letto. Se ci si sveglia spontaneamente prima che la sveglia suoni, è meglio alzarsi  e iniziare la giornata.
  • Per evitare di restare a letto senza avere sonno, è meglio alzarsi e dedicarsi ad attività rilassanti, come leggere un libro o ascoltare della musica. Se questo non dovesse funzionare, potrebbe essere utile apprendere alcune tecniche di rilassamento.
  • Evitare l’uso inappropiato di farmaci ipnoinducenti o benzodiazepine. Se usati male possono essere controproducenti.

Se si hanno difficoltà a dormire per più di un mese e le terapie provate non hanno funzionato.
Se ci si sveglia sempre molto stanchi, a volte con mal di testa.
In tutti questi casi è necessario rivolgersi al medico di famiglia o al neurologo, il medico specialista della cura dell’insonnia.

La sindrome dell’intestino/colon irritabile (SII), comunemente e impropriamente chiamata colite, è una condizione clinica costituita da disturbi soggettivi all’addome legati per lo più all’atto dell’alimentazione (gonfiore, tensione e dolore diffusi), irregolarità dell’alvo (diarrea o stipsi o combinati, con emissioni di feci di vario aspetto), per un periodo di almeno 3 mesi anche se non continuativi.
Colpisce almeno il 20-30% della popolazione mondiale, a diverse fasce di età, prevalentemente giovani sotto i 15–40 anni e prevalentemente di sesso femminile.

L’opinione corrente degli esperti è che all’origine della sindrome dell’intestino irritabile vi sia un’ipersensibilità dell’intestino ai comuni processi della digestione (motilità, fermentazione con gas, regolarità dell’alvo), motivo per cui, oltre a escludere cause definite va migliorato quanto più possibile il funzionamento dell’intestino con norme igienico-alimentari, probiotici e, in casi particolari anche con farmaci specifici.

Gastrite o gastropatie possono essere acute o croniche e sono classificate sulla base degli agenti che le determinano o su caratteristiche morfologiche rilevabili all’esame istopatologico.
I principali agenti causanti gastrite gastropatie sono: Helicobacter pylori, farmaci (steroidi o FANS), reflusso biliare, alcool e processi autoimmuni come la gastrite atrofica autoimmune. Queste principali cause possono essere presenti contemporaneamente oppure non essere rinvenute, e quindi in quest’ultimo caso si parla di gastrite indeterminata.

A volte chi soffre di gastrite accusa sintomi fortissimi come un intenso bruciore dolore, ma questo non è necessariamente indice di una situazione davvero molto grave.  I principali sintomi di una gastropatia o gastrite sono: nausea, perdita di appetito, eruttazioni, senso di bruciore (disconfort epigastrico) e occasionalmente dolore addominale.

La storia clinica del paziente può fornire un validissimo aiuto nel sospetto di una gastrite e può fornire un’indicazione delle cause scatenanti la patologia.
L’esame diagnostico principale è la gastroscopia. Questo esame consente di osservare tutto il canale alimentare dalla bocca al duodeno e consente di prelevare delle sottilissime sezioni di mucosa per l’esame istologico.
Altri esami diagnostici possono essere richiesti a discrezione del curante per escludere altre cause concomitanti o valutare eventuali carenze di particolari nutrienti, come nel caso della gastrite atrofica autoimmune.

Un cenno particolare va riservato alla gastrite sostenuta dal bacillo Helicobacter pylori, estremamente frequente. Esistono numerosi test per diagnosticare la presenza di H. pylori.

La terapia per la gastrite, attraverso l’uso di farmaci, si pone come scopo il trattamento della causa scatenante la patologia oppure il trattamento delle patologie multi-organo in cui la gastrite è solo una parte della presentazione clinica.

I motivi possono essere vari, dai fenomeni ansiosi per cui facilmente si ingoia innaturalmente aria, all’assunzione di bevande eccessivamente gasate o di alimenti che per la loro digestionecreano gas (per esempio i legumi) o che sono mal digeriti dal nostro organismo (per esempio il lattosio), o che il nostro organismo non tollera (per esempio il  latte e i suoi derivati).
Però la causa più comune è la stipsi, o stitichezza, che favorisce la permanenza nell’intestino di materiale di scarto (le feci) o non perfettamente digerito, e che quindi fermenta grazie anche all’azione dei germi esistenti nel pacchetto di alimenti introdotti e nell’intestino stesso.
Si parla di stipsi quando l’evacuazione si verifica con una frequenza superiore ai tre giorni, o, diversamente, quando l’evacuazione è anche quotidiana, ma ottenuta con sforzo ed emissione di materiale fecale scarso, spesso simile a quello prodotto dalle capre.

L’eccesso di gas può essere evitato o ridotto:

  • migliorando il modo di assumere gli alimenti, cioè concalma e senza parlare continuamente o bere, fatti che favoriscono l’introduzione di aria;
  • evitando gli alimenti che producono gas o che per il nostro specifico organismo sono difficili da digerire, e che vanno valutati caso per caso;
  • introducendoliquidi, lontano dai pasti, per favorire i meccanismi digestivi e idratare a sufficienza il materiale che poi costituirà lo scarto del processo, ovvero le feci;
  • bevendo tisanecon finocchio ecc. e il simeticone, sostanza con azione antischiuma, per quanto di utilità scarsa o non sicuramente documentata;
  • usando con parsimonia ilassativi, vasto gruppo di sostanze spesso di origine vegetale, che hanno l’azione di ammorbidire il materiale finale (le feci) e promuovere in qualche misura la peristalsi intestinale, con vari effetti collaterali se usati in eccesso sia per quantità che durata;
  • non ultimo, facendomoto con regolarità, perché esso facilità la digestione, attiva un certo rimescolamento del contenuto intestinale e mantiene in tono la muscolatura addominale che poi entra utilmente nel meccanismo dell’evacuazione.
  • posizione del sonno a pancia in alto;
  • temperatura degli ambienti non superiore a 19-20 ° C, arieggiare di frequente i locali;
  • non coprire troppo il bambino, non dormire nello stesso letto, non usare cuscini soffici,
  • rimboccare fisse le coperte;
  • non fumare(fumo in gravidanza triplica il rischio, fumo passivo lo raddoppia);

Allattamento al seno e l’uso del succhiotto hanno un effetto protettivo.

Per malattie psicosomatiche si intendono quelle malattie che possono scaturire a causa di un condizionamento della nostra mente. I disturbi psicosomatici si possono considerare vere e proprie malattie che comportano danni a livello organico e che sono causate o aggravate da fattori emozionali.
Disturbi psicosomatici possono interessare vari organi e apparati: gastrointestinalecardiocircolatoriorespiratoriomuscolo–scheletricocute.

La dermatologia è uno dei campi più interessati della somatizzazione. La pelle costituisce l’unico tessuto del corpo, visibile all’esterno e su di esso una situazione emotiva, anche latente, si può manifestare con un’eruzione cutanea di aspetto diverso. La cute è un organo con una forte espressività che reagisce rapidamente agli stress psichici e alle normali emozioni: il rossore, pallore, pelle d’oca, sudorazione.

Esiste uno stretto legame tra cute e psiche, la nostra condizione psichica è strettamente legata a quella fisica; avendo la pelle e il sistema nervoso il medesimo substrato biologico, dallo stesso foglietto embrionario, essi mantengono profondi rapporti e interconnessioni.

Pertanto è fondamentale che il dermatologo approcci il paziente tenendo conto di tutti gli aspetti, fisici e psichici della persona.
È fondamentale comprendere i meccanismi della somatizzazione e del rapporto mente-corpo in quanto l’approccio terapeutico deve mirare all’integrazione di tipo farmacologico e psicoterapeutico.

La malattia “mani piedi bocca” è un’infezione virale.
È un’infezione molto contagiosa, che colpisce soprattutto i bambini in età 0-5 anni.

sintomi sono ben visibili e caratterizzati da “puntini” (vescicole) nella bocca, sulle mani e sotto i piedi: qualche volta le lesioni compaiono anche sul dorso delle mani e dei piedi.

I ”puntini” sono allungati, a forma chicco di riso, e solitamente compaiono prima nella bocca, e poi nelle altre parti del corpo.

Nei bambini sotto ai 3 anni, le vescicole possono comparire anche sulle gambe e nella zona dei glutei, soprattutto nella zona periorale, per cui è necessario escludere eventuali malattie intestinali.

Anche le unghie sono danneggiate: il virus blocca temporaneamente la crescita dell’unghia, che dopo qualche settimana appare segnata da solchi trasversali che sembrano tagliare l’unghia. La crescita progressiva della nuova unghia in alcuni mesi elimina l’unghia danneggiata.

Oltre alla manifestazione cutanea il quadro clinico è completato da febbre per 24-48 ore anche con puntate a 39°C, e talvolta vi possono essere vomito e diarrea.

Il virus si trasmette nella prima settimana di malattia per contatto diretto, con saliva e secrezioni nasali di chi è affetto; nelle feci il virus può persistere anche per un mese.

Il decorso naturale della malattia è verso la guarigione spontanea e la riparazione delle vescicole.

Non vi è pertanto una terapia specifica per combattere il virus.

Se la febbre supera i 38-38,5°C va trattata con paracetamolo, ed è importante fare frequenti lavaggi nasali con la soluzione fisiologica.

La pelle può essere lavata con delicati detergenti.

Le lesioni alle mucose della bocca possono essere alleviate con gel specifici che riducono il dolore e favoriscono la cicatrizzazione.

Spesso, in questo periodo, il bambino rifiuta di mangiare per il dolore in bocca, ed è meglio non insistere e cercare solo di mantenere un buon livello di idratazione con cibi liquidi e non caldi (yogurt, budini, frullati…).

La meningite è l’infiammazione delle membrane che rivestono cervello e midollo spinale. Nella maggior parte dei casi è sostenuta da un’infezione di origine batterica, virale o fungina, ma può essere dovuta anche a farmaci o neoplasie.
La meningite batterica è rara, ma nella maggior parte dei casi è molto grave e può mettere in pericolo la vita del paziente se non viene curata subito. La meningite virale è più comune e molto meno grave. Spesso non viene diagnosticata perché i suoi sintomi possono essere simili a quelli di una normale influenza.

Il tempo d’incubazione cambia a seconda dell’agente causante, quindi se l’agente è un virus, allora l’incubazione sarà di 3-6 giorni, se invece è un batterio l’incubazione durerà dai 2 ai 10 giorni.

sintomi classici sono:

  • cefalea
  • febbre
  • rigidità nucale (incapacità di flettere passivamente il collo in avanti).

A questi sintomi si aggiungono vomito a getto, alterazioni dello stato di coscienza, convulsioni.
La diagnosi viene fatta dopo puntura lombare, attraverso l’analisi del liquor cefalorachidiano (liquido che permea il sistema nervoso centrale).

Ci sono due tipologie principali di meningite, quella virale e quella batterica. Nel nostro paese sono disponibili vaccini per alcune forme di meningite.

La diagnosi della meningite può essere complessa: nella fase iniziale, i sintomi e i segni ricordano quelli di un’influenza. Per questo motivo, quando c’è il sospetto di aver contratto la meningite occorre rivolgersi immediatamente al proprio medico.

Il mollusco contagioso è una malattia virale cutanea caratterizzata dalla presenza di lesioni uniche o multiple di piccole dimensioni, emisferiche e rilevate sulla pelle che mostrano, nella maggior parte dei casi, una depressione nella porzione centrale.
Ne sono spesso colpiti i bambini e i giovani adulti.
La trasmissione avviene tramite contatto diretto con le persone affette (anche tramite rapporti sessuali) oppure attraverso oggetti condivisi tra più persone (ad esempio l’asciugamano).

Il virus responsabile del mollusco contagioso è il Poxvirus. L’incubazione del virus prevede un periodo medio di 2-7 settimane. Frequentemente si hanno recidive, favorite anche dal lungo periodo di incubazione delle lesioni.

Il mollusco contagioso si presenta come una lesione di colorito rosso biancastro a superficie liscia e tesa.
Non comporta sintomi come prurito o dolore. Facilmente tende alla disseminazione in altre parti del corpo, soprattutto nei soggetti con dermatite atopica.

In genere si esegue l’asportazione delle singole lesioni mediante courettage, utilizzando una sorta di bisturi con forma ad anello. Nel caso di bambini, prima del courettage si applica prima una crema anestetica.
Talvolta le lesioni possono andare via spontaneamente.

È molto importante che chi è affetto da mollusco contagioso abbia un comportamento prudente al fine di non contagiare le altre persone.

La pediculosi, più comunemente nota col nome di pidocchi, è un’infestazione che si propaga per contatto tra bambini che frequentano le comunità scolastiche, di gioco o di sport. La pediculosi non è sintomo di scarsa igiene.

Non esistono prodotti capaci di prevenire l’infestazione da pidocchi. Alcuni semplici precauzioni però possono rendere più semplice l’eventuale trattamento. Nel caso in cui emerga la presenza a scuola o in famiglia di casi di pediculosi, bisogna controllare attentamente il bambino con una luce potente e un pettine a denti fitti in modo da individuare ed eliminare precocemente la presenza di lendini (uova) ed eventualmente di insetti che stanno per infestare o hanno già infestato il cuoio capelluto.

Il pidocchio depone sul cuoio capelluto molte uova, circa 10 al giorno per un totale di 300 nel suo ciclo vitale. Le uova vengono adese tenacemente alla base del capello da una particolare sostanza secreta dalla femmina di pidocchio. Passando le dita tra i capelli, la forfora viene via facilmente mentre le lendini rimangono attaccate al capello e non si spostano.

Per il trattamento della pediculosi ci sono numerosi prodotti ad azione chimica (es. piletrina). Esistono anche olii essenziali o soluzioni a base di siliconi che hanno un’azione fisica sulle lendini e sugli insetti perché le soffocano annientandole. Sono prodotti semplici da usare, ma è importante seguire attentamente le indicazioni sul foglietto illustrativo perché il trattamento sia efficace. Questi prodotti vanno accompagnati da un utilizzo molto attento del pettine a denti fitti che permette la rimozione delle lendini e quindi elimina il rischio di nuove infestazioni.

Dopo il primo trattamento il bambino deve essere controllato con il pettine a denti fitti tutti i giorni fino al trattamento successivo. Solitamente, i trattamenti vanno ripetuti dopo una settimana e i controlli vanno effettuati per i quindici giorni successivi per prevenire nuove infezioni. I conviventi, i familiari e i compagni di scuola del bambino che sono stati a contatto con lui nelle 48 ore prima del primo trattamento, vanno trattati con gli stessi prodotti.

Il prurito è il sintomo cutaneo più comune. Si tratta di una sensazione spiacevole, che evoca il grattamento e può accompagnare frequentemente una dermopatia, cioè una malattia della pelle.

Il suo principale mediatore chimico è l’istamina, cioè la sostanza che provoca la sensazione di prurito è l’istamina. Questa viene prodotta dalle cellule mastociti, ma anche dalle cheratinociti.
Essendo il prurito una sensazione spiacevole, determina una profonda alterazione della qualità della vita.

Esiste un prurito associato a malattie cutanee e quello che non accompagna malattie della cute.
Le principali malattie cutanee in cui è presente il prurito sono:

  • eczema(soprattutto eczema atopico e nella dermatite allergica da contatto);
  • orticaria;
  • lichen planus;
  • scabbia e parassitosi cutanee come i pidocchi;
  • dermatite erpetiforme;
  • micosi fungoide.

Esistono patologie della pelle, in cui il prurito non è costantemente presente quali: psoriasi, micosi superficiali e malattie bollose.

Esiste inoltre un prurito localizzato in testa, dovuto per esempio alla dermatite seborroica, oppure il prurito anale, dovuto per esempio alle emorroidi, e prurito vulvare, dato dalla vulvovaginite. In quest’ultimo caso, bisogna tener conto di eventuali fattori emotivi che talvolta influenzano e peggiorano tale sintomatologia.

In quei casi in cui il prurito si accompagna a malattie sistemiche, il trattamento deve essere rivolto alla patologia di base.

Il reflusso gastroesofageo è una condizione clinica molto comune. Nei lattanti si parla di reflusso gastroesofageo fisiologico e di solito si tratta di una condizione che passa con la crescita. Qualche volta è invece espressione di un disturbo legato all’ alimentazione e i questi casi bisogna parlare con il proprio pediatra.

In bambini più grandi è legato a sovrappeso, obesità, errori dello stile di vita alimentare e non solo, e quindi non è determinato da una sola causa.

I sintomi più comuni sono il bruciore di stomaco, il dolore toracico, il bolo (senso di fastidio che induce deglutizione forzata), l’alitosi.

Il primo passo per la guarigione è rivolgersi al proprio medico di fiducia per cambiare lo stile di vita (alimementazione equilibrata, evitare le bevande gassate e altri alimenti irritanti come caffè, cioccolato, menta, cipolla fritta e alcuni agrumi).

La terapia farmacologica può essere utile per tenere sotto controllo i sintomi, e spesso deve essere presa per lunghi periodi o, nei casi più gravi, a vita.

In alcuni casi particolari si può prendere in esame la terapia chirurgica, che però non è sempre risolutiva del problema.

Esistono molti ali­menti comportamenti che possono causare o aggravare i sintomi del reflusso gastroesofa­geo: la prima azione da attuare per stare meglio è la modifica dell’alimentazione e dello stile di vita, che può essere sufficiente nelle forme lievi della malat­tia.

  • Evitare di sdraiarsi subito dopo i pasti: la posizione supina facilita il reflusso. Aspettare almeno 3 – 4 ore;
  • evitare di compiere sforzi fisici a stomaco pieno: aspettare 2 – 3 ore; evitare movimenti bruschi o improvvisi;
  • elevare la spalliera del letto di 15-20 cm: questo permette di mantenere l’esofago in posizione verticale anche quando si è sdraiati e impedi­sce la risalita di materiale acido dallo stomaco. Non usare cuscini perchè piegano l’addome e aumentano la pressione addominale;
  • Mangiare cibi ricchi di fibre, proteine e car­boidrati: sostanze facilmente digeribili che fa­voriscono lo svuotamento dello stomaco;
  • si possono consumare le carni bianche e magre, il pesce, i formaggi freschi, il latteuova ma non sode né fritte, verdura e frutta (tranne arance e limoni);
  • evitare di mangiare cibi acidi o speziatifritticondimenti con burrostrutto e dadosalsecarni grasse e affumicateinsaccati (tranne prosciutto e bresaola), formaggi grassi; ridurre i cibi grassi è fondamentale perché richiedono molto tem­po per essere digeriti e rimangono più a lungo nello stomaco, rendendo più probabili gli epi­sodi di reflusso;
  • ridurre il piu possibile (evitare soprattutto la sera) il consumo di: agliocipollacioc­colatomentaanicetè alcolperché riducono la pressione della valvola tra esofago e stoma­co; arance, limonipomodoricaffè e bibite che contengono caffeina perché possono aumenta­re l’acidità gastrica e dell’esofago in presenza di reflusso; bibite e acqua gassata perché l’anidride carbonica gonfia l’addome e aumenta il rischio di reflusso;
  • tenere sotto controllo il peso o ridurre il so­vrappeso: i chili in più aumentano la pressio­ne addominale favorendo il reflusso;
  • evitare i pasti abbondanti, mangiare poco e spesso per non riempire troppo lo stomaco e renderne più veloce lo svuotamento; consumare cene leggere;
  • mangiare lentamente, masticando bene ogni boccone.

Oltre a quelli sopra elencati, possono esistere alcuni fattori scatenanti o aggravanti del reflusso che sono propri di ciascun individuo. Per individuarli, è utile an­notare in un diario quello che si mangia e le attività svolte prima di un attacco di reflusso.

La scarlattina è un’infezione provocata da alcune tossine prodotte da un batterio (streptococco del gruppo A). Coinvolge prevalentemente i bambini e si trasmette soprattutto per via aerea.

Si manifesta in modo brusco e improvviso con la comparsa di febbre altatachicardiamal di golanausea e vomito. Dopo un paio di giorni compare la fase esantematica che è caratterizzata dalla presenza di piccoli punti rossi nelle zone di inguine, ascelle, collo che tendono poi a diffondersi a tutto il corpo.

La scarlattina ha origine batterica e per questo viene curata con antibiotici, in particolare penicilline, da assumere per circa 7- 10 giorni.

Non sono vere e proprie  ragadi anali, ma screpolature della mucosa anale, come un piccolo taglietto nel solco dei raggi dell’ano. Le abitudini buone per una regolare funzionalità intestinale prevengono anche la formazione di screpolature all’ano (molto dolorose e peggiorative della stitichezza).

Quando si siano formate, va  praticato  un trattamento locale che aiuti la cicatrizzazione del piccolo taglio in una zona del corpo per sue caratteristiche caldo-umida e lenta ai processi riparativi della pelle.
Lavare con poco sapone di Marsiglia l’ano anche 2-3 volte al giorno, asciugare con scrupolo evitando che rimanga la pelle umida, applicare il prodotto cicatrizzante almeno 3 volte al giorno ( vi sono prodotti su base vegetale in formulazione ovuli).
Il tempo di guarigione, con una funzione intestinale regolare con feci morbide, è intorno ai 7-10 giorni.

La sindrome metabolica (denominata anche sindrome da insulino-resistenza o sindrome cardiometabolica) consiste in un insieme di fattori di rischio che favoriscono le malattie cardiovascolari.

Per essere affetti da sindrome metabolica è sufficiente presentare almeno tre fra le seguenti caratteristiche:

  • giro vita maggiore di 102 cm nell’uomo e di 88 cm nella donna;
  • tasso di trigliceridi superiore o pari a 1,5 g/l o in trattamento per i trigliceridi;
  • tasso di colesterolo HDL (il colesterolo “buono”) inferiore a 0,40 g/l nell’uomo o a 0,50 g/l nella donna o in trattamento per il colesterolo HDL;
  • glicemia (tasso di zuccheri) a digiuno superiore o pari a 1 g/l o diabete tipo 2 precedentemente diagnosticato;
  • pressione arteriosa superiore o pari a 130/85 mm di mercurio o trattamento per la pressione arteriosa.

La presenza di sindrome metabolica in una persona moltiplica per 2 il rischio di avere una malattia cardiovascolare entro 10 anni, per 5 il rischio di insorgenza del diabete e per 3 il rischio di danni alle arterie coronarie (angina pectoris e/o infarto del miocardio). Questo spiega perché  l’associazione dei vari fattori di rischio della sindrome metabolica si rivela temibile.

La diagnosi precoce della sindrome metabolica è pertanto indispensabile allo scopo di intraprendere, se necessario, una cura preventiva nei confronti dei danni cardiovascolari e del diabete.

I cambiamenti delle abitudini di vita hanno mostrato una certa efficacia, in particolare nel prevenire l’evoluzione verso un diabete di tipo 2. Questi stili di vita preventivi si basano su:

  • un’attività fisica regolare (marcia, nuoto, ecc.) senza sforzi eccessivi e su parere medico;
  • un’alimentazione equilibrata con assunzione limitata di zuccheri a rapido assorbimento (bevande zuccherate gassate, dolciumi, ecc.), di alcolici e di materie grasse (salumi, formaggi, grassi aggiunti, ecc.);
  • l’utilizzo di terapie farmacologiche per combattere l’insulino-resistenza o per aumentare il colesterolo buono è attualmente oggetto di valutazione;
  • Il trattamento terapeutico dell’ipertensione e dei fattori di rischio correlati.

La stitichezza è un sintomo, non una malattia.
Il bambino è stitico quando:

  • evacua con molto sforzo;
  • provadolore durante l’evacuazione;
  • le feci sono dure e caprine (piccoli pezzi);
  • le evacuazioni avvengonomeno di 3 volte a settimana e possono essere molto voluminose;
  • di conseguenza possono crearsiscrepolature dolorose all’ano (circolo vizioso: feci dure -screpolatura -dolore – non evacuazione -feci più dure – peggioramento della  screpolatura….)

 

La causa della stitichezza funzionale è la non efficace e regolare funzionalità dell’attività intestinale.

L’intestino riceve dallo stomaco gli alimenti parzialmente digeriti, ne completa la digestione, assorbe i nutrienti indispensabili per la crescita del bambino, e infine compatta ed espelle il materiale che per il nostro organismo non è digeribile e utilizzabile (per es. cellulosa).
La massa fecale, con uno stimolo di contatto sulla parete dell’ultimo tratto dell’intestino (colon e retto), attiva contrazioni che si susseguono come onde fino al risultato dell’evacuazione.
Possiamo educare l’intestino a un funzionamento regolare in questi modi:

  • per i bambini che non usano ancora il vasino, perfavorire la posizione più efficace, quella a “torchio” della muscolatura addominale, quando vi sembra che il bambino “spinga” liberatelo dal pannolino, tenetelo in braccio sostenendolo con le cosce flesse e il suo dorso appoggiato al  vostro corpo (come se stesse seduto): in questa posizione la sua spinta sarà molto più efficace;
  • da quando il bambino tiene bene la posizione seduta ( 8-9 mesi) e dà segnali di “spingere”,cominciate a proporgli il vasinoQualche consiglio sull’uso del vasino: il momento più opportuno è quello dopo i pasti per sfruttare il riflesso gastro-colico, è meglio proporre senza insistere e non mostrare delusione se l’esito è negativo, e non eccedere in lodi se invece è positivo;
  • l’intestino può svolgere meglio la sua funzione se lavora sucibi ricchi di fibre (che non vengono assorbite ma che hanno il prezioso compito di fare massa): sono indicati i cibi integrali (pasta, pane, riso, già dal II semestre di vita fiocchi di cereali integrali), un apporto quotidiano di frutta, verdura e legumi, e abbondante acqua durante la giornata (dallo svezzamento in poi anche ai piccoli lattanti);
  • favorire il movimento (nei bambini più grandi la vita troppo sedentaria favorisce la stitichezza).
  • alimentazione corretta ( frutta verdura  legumi cereali integrali);
  • bere acqua;
  • regolarizzare l’orario della “seduta“ (dopo i pasti, a casa, in un momento tranquillo…);
  • vita attiva e movimento;

Lo stress è la sensazione di tensione che ciascuno di noi sperimenta quando sente che la realtà lo mette alla prova, gli chiede di usare al meglio le proprie risorse per superare un ostacolo o per ottenere qualcosa che desidera.

La vita umana è una serie di inevitabili cambiamenti e ogni cambiamento richiede, da parte dell’individuo, una mobilitazione di energie psichichecomportamentali ed emotive. Alcuni cambiamenti però richiedono una mobilitazione di energie maggiore degli altri. Un divorzio, un lutto, la perdita del lavoro o una malattia possono esercitare una forte pressione emotiva e possono portare a sviluppare forme elevate di stress.

Le cause dello stress si trovano nel rapporto che ogni uomo ha con il proprio ambiente: le fonti del nostro stress sono sia dentro che fuori di noi. Fuori, perché il mondo esterno e gli altri ci pongono continuamente richieste e sfide; dentro, perché noi rispondiamo ad esse con le nostre capacità.

Esistono due tipi di stress: lo stress buono (eustress) e quello cattivo (distress). L’eustress si prova quando si supera una situazione difficile ma che dura poco e che porta a conseguire un risultato. Lo stress diventa nocivo quando invece dura a lungo, o quando la persona si sente incapace di uscire dalla situazione che gli crea disagio.

I cambiamenti e lo stress infatti non sono di per sé qualcosa di negativo. Gli esseri viventi sono abituati a un livello ottimale di stress, ma se questo diventa troppo alto può portare ad  un crollo. D’altra parte, anche livelli di stress troppo bassi possono portare noiamancanza di motivazione e forme di disagio simili a quelle causate dal forte stress. In questo senso anche una stimolazione troppo bassa può essere uno stressore.

Alcuni cambiamenti possono diventare potenti stressori, mentre altri vengono facilmente assorbiti dall’individuo. Molte ricerche scientifiche ci dicono che non è tanto lo stressore in sé, quanto il modo in cui lo percepiamo e affrontiamo, che porta allo sviluppo o meno di stress. Il modo in cui affrontiamo i cambiamenti quindi determina in larga misura quanto stress essi ci provocano.

Quando la condizione di stress diventa pervasiva, possiamo arrivare a una sovraeccitazione cronica che si traduce in forme di disagio ansiose e depressive, di varia natura e intensità.

Per alcune persone un’elevata frequenza di cambiamenti porta a sviluppare stress, mentre per altri il cambiamento è vissuto come una sfida che mette alla prova le proprie capacità in modo positivo.

Queste persone sono dotate di una capacità che viene definita resilienza, ovvero la capacità di andare avanti e riprendersi in seguito ai cambiamenti e di adattarsi positivamente ad essi nonostante le avversità. Riescono quindi ad affrontare adeguatamente gli eventi traumatici e destabilizzanti attraverso una visione costruttiva e non solamente distruttiva delle situazioni che le mettono in difficoltà.

Lo stress non va eliminato, ma va gestito in maniera produttiva: ogni individuo dovrebbe avere la consapevolezza di quali situazioni sono per lui fonte di stress, e di che tipo. L’eustress serve da spinta e da motivazione per esprimere al meglio le proprie abilità, quindi ha un valore positivo: aumenta la vigilanza e l’attenzione, migliora la propria capacità di affrontare le situazioni critiche. Il distress invece indebolisce, affatica e provoca danni all’organismo.
Il primo passo nella lotta allo stress cattivo è: ascoltare se stessi, i propri bisogni e desideri, aumentare la propria consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti. Non si possono evitare le situazioni stressogene, ma si può modificare il proprio modo di affrontarle e gestirle

Con tigna della testa, o tinea capitis, si intendono tutte le dermatofizie pilari del cuoio capelluto, ovvero infezioni provocate da funghi che interessano lo strato superficiale della pelle della testa.

Sono sostenute da miceti (funghi) del genere Microsporum e Trichophyton e, in base all’agente e al tipo di parassita, vengono distinte in:

  • tinea capitis microsporica. È laforma più frequente, caratterizzata da chiazze eritematose e desquamative, tondeggianti, a limiti netti, del diametro variabile fra 1 e 10 cm, senza alcun carattere di tipo infiammatorio.  Le chiazze possono essere uniche o, più raramente, multiple, isolate o confluenti in chiazze a contorni policiclici. Nel contesto delle chiazze si osservano peli tronchi di 2-3 mm. I funghi che causano questa forma appartengono al genere  canis;

È fondamentale rivolgersi al medico per diagnosticare la tigna della testa e non confonderla con altre patologie del cuoio capelluto.

La diffusione avviene attraverso il contagio interumano; il contagio animale è responsabile delle forme isolate e sporadiche.

Nel contagio interumano sono importanti le collettività infantili, come nido e scuola materna. È possibile inoltre un contagio indiretto attraverso capi di vestiario, oggetti personali quali pettinispazzolesedili dei pullman e altri oggetti.

È importante intervenire prontamente con la terapia per evitare che si formi un’alopecia cicatriziale.

La terapia prevede l’utilizzo della griseofulvina al dosaggio di 20-25 mg/kg/die per 30-40 giorni. È necessario associare un trattamento locale che consiste nella rasatura dei capelli per 5 settimane e medicazioni locali con antimicotici topici.

I triazolici e la terbinafina possono essere utilizzati ma per periodi più lunghi di trattamento.

Le tonsille e le adenoidi sono costituite da tessuto linfatico e situate le prime ai lati della gola, le seconde in una strettoia tra naso e gola.
Compito del tessuto linfatico è quello di produrre anticorpi verso virus e batteri e di bloccarne la diffusione. Questi organi hanno quindi il compito di costituire una barriera sia meccanica sia biologica per neutralizzare i germi.

L’aumento della vita sociale per i bambini (nidi o scuole materne) li espone, chi più chi meno, a incontrare per la prima volta vari germi(virus e batteri), motivo per cui si ammalano più frequentemente. I germi entrano nell’organismo attraverso quella specie di areosol di goccioline microscopiche sospese nell’aria che emettiamo quando parliamo o attraverso il contatto con mani contaminate. Le mani si contaminano quando le avviciniamo alla bocca mentre starnutiamo e tossiamo, oppure anche per contatto con polvere d’ambiente dove alcuni germi sopravvivono. I germi venuti a contatto con il tessuto linfatico lo stimolano a produrre  anticorpi, in questo modo  le tonsille e le adenoidi si infiammano e si ingrossano. Questo fenomeno può durare il tempo dell’infezione, o, in caso di infezioni ravvicinate, può persistere un certo ingrossamento.

I germi responsabili delle più comuni infezioni dell’età pediatrica hanno quindi come passaggio obbligato il tessuto tonsillare: i sintomi sono gonfioreinfiammazione e, talvolta, presenza di puntini bianco-grigi (tonsillite).

Nella maggior parte dei casi si tratta di infezioni virali che non necessitano di terapia antibiotica, ma solo dell’uso dell’antipiretico se vi è febbre e del tempo di qualche giorno (2-6) perché gli anticorpi neutralizzino i virus fino alla guarigione.
In alcuni casi, invece, è presente lo streptococco beta emolitico di gruppo A (batterio);  la diagnosi può essere clinica ed effettuata durante la visita pediatrica, i casi dubbi invece richiedono conferma della diagnosi con l’esecuzione del tampone faringeo o il test rapido.
È molto importante porre una diagnosi certa, prima di tutto per non fare inutili terapie antibiotiche (i virus non rispondono agli antibiotici!), poi perché in 1 caso su 1000 che non viene trattato possono insorgere complicanze a distanza: la glomerulonefrite (infezione renale), la cardite (infezione del tessuto del cuore), la malattia reumatica (articolazioni).
In alcuni casi le tonsilliti sono ricorrenti e a distanza ravvicinata (con un intervallo di 15-30 giorni o anche di 2 mesi). In questo caso il pediatra dovrà valutare una consulenza otorinolaringoiatrica per un eventuale intervento chirurgico.

Le adenoidi, nella loro funzione di difesa, ingrossano e ostruiscono più o meno le cavità nasali; il fenomeno può essere temporaneo e durare il tempo di un raffreddore, o persistente condizionato sia dal numero delle infezioni, sia dalla conformazione individuale del viso.
L’entità dell’ingrossamento può causare una serie di disturbirespirazione a bocca apertarussamento notturno (cattiva qualità del sonno, sonnolenza diurna, difficoltà  di concentrazione a scuola, inappetenza), malocclusione dentaria (masticazione scorretta per alterazione dei movimenti di deglutizione nella respirazione a bocca aperta), possibili otiti, apnee notturne (il respiro si ferma quando l’ostruzione è notevole e si associa anche a ingrossamento tonsillare).

Per quanto riguarda le adenoidi, se sono presenti in forma importante i disturbi sopra elencati che rendono scadente la qualità del sonno e della vita del bambino, si rende necessaria la visita otorinolaringoiatrica per una valutazione chirurgica.

La prevenzione è quella valida in generale per la maggior parte delle infezioni più comuni.
Accorgimenti considerati dall’OMS come la prima e più importante strategia difensiva dalle infezioni, soprattutto in età pediatrica:

  • lavare spesso le mani, e soprattutto quando si rientra da un luogo pubblico asilo ecc);
  • arieggiare frequentemente i locali(anche in inverno!);
  • starnutire e tossire nella piega del gomito non parandosi con la mano;
  • lavare più volte al giorno le mucose nasali (lavaggi nasali con soluzione fisiologica).

Gli ossiuri sono piccoli vermi intestinali (Enterobius Vermicularis), la femmina misura circa 1 cm, il maschio 3-4 mm, di colore bianco.
Si tratta di un’infestazione abbastanza frequente nei bambini (l’incidenza è di circa il 20%).

Principalmente per via orale, per esempio mettendo in bocca mani sporche che sono state a contatto con oggetti contaminati (giochi, utensili, cibo, biancheria…). L’infestazione può avvenire anche per inalazione nasale (per esempio in seguito allo sventolamento di biancheria contaminata) o per l’introduzione di dita nel naso dopo contaminazione con gli oggetti.

Il sintomo principale è il prurito anale, spesso notturno, dovuto al movimento in zona perianale delle ossiuro femmine che depongono le uova tra le pieghe cutanee. A volte possono essere presenti lesioni da grattamento con possibile complicanza di infezioni locali. Nelle bambine, per contaminazione, può manifestarsi anche vulvite e vaginite. Non è rara la comparsa di orticaria o eritemi della pelle per ossiuriasi.

Qualche volta gli ossiuri sono visibili nelle feci (per esempio quando il bambino utilizza il vasino) o anche in zona anale in un momento in cui il bambino lamenta un forte prurito.
La diagnosi si fa attraverso due esami di laboratorioricerca dei parassiti nelle feci e  scotch test. Quest’ultimo, molto più sensibile del primo, poiché rivela la presenza di uova in zona perianale, si esegue così: al mattino, prima che il bambino vada in bagno, si applica una striscia di nastro adesivo trasparente sulle pieghe anali facendo aderire bene; successivamente si stacca il nastro adesivo e lo si incolla su un vetrino da laboratorio. Questa procedura va ripetuta almeno 3 volte anche in giorni non consecutivi.

Il farmaco di prima scelta è il Mebendazolo. È consigliabile applicare la terapia a tutti i componenti della famiglia, vista l’alta probabilità di infestazione. La medicina si prende in dose unica da ripetere a distanza di due settimane.

Molto importanti sono alcune regole di igiene personale utili sia per la terapia che per la prevenzione:

  • lavarsi spesso le mani, e comunque sempre prima di toccare e mangiare il cibo;
  • tenere le unghie corte e pulite;
  • lavarsi bene le mani dopo avere evacuato le feci;
  • lavare sempre, quando possibile, la zona anale dopo avere evacuato;
  • lavarsi ogni mattino la zona anale per eliminare eventuali uova.

La varicella è una malattia infettiva acuta, molto contagiosa, causata da un virus (virus varicella-zoster).

La malattia si manifesta soprattutto su bambini adolescenti ed è in genere lieve. Dopo un periodo di incubazione di 13-17 giorni si manifestano i primi sintomi: febbre, malessere generale e dopo un paio di giorni ancora la comparsa su dorso, tronco, volto e cuoio capelluto di piccole macchie piane che si trasformano rapidamente in vescicole pruriginose e, col passare del tempo, croste non più contagiose. Le croste cadono spontaneamente nell’arco di 10 giorni.

La trasmissione della malattia avviene per via aerea (tramite le goccioline di saliva) e per contatto diretto con le vescicole.

La terapia della varicella consiste soprattutto nel sollievo dei sintomi (febbre e prurito) con l’assunzione di farmaci come antipireticiantistaminici, lozioni specifiche.

Esiste una vaccinazione anti varicella, che non è obbligatoria ma è fortemente consigliata.

La varicella non ha particolari complicanze nel soggetto immunocompetente.

Le persone con grave riduzione delle difese immunitarie hanno un maggior rischio di complicanze anche in forma grave.

Se contratta in gravidanza la varicella può essere pericolosa e comportare malformazioni fetali.

Talvolta il virus può rimanere nascosto nell’individuo che ha avuto la varicella e può riattivarsi successivamente a distanza di anni provocando l’herpes zoster (fuoco di Sant’Antonio).

La verruca è un’infezione cronica della cute indotta dall’HPV (Human Papilloma Virus) e caratterizzata da presenza di papule, noduli e lesioni rilevate ricoperte da superficie più o meno ruvida.

Diffuse soprattutto nei bambini, le verruche volgari rappresentano il 70% del totale dei casi, mentre le verruche plantari ne rappresentano il 20- 25 %, e il restante 5% viene ripartito tra le forme piane e filiformi.

Il contagio può avvenire direttamente (contatto con individui affetti) o indirettamente (frequentando luoghi come saune, bagni turchi, piscine dove il clima caldo-umido favorisce la sopravvivenza del virus).
Le manifestazioni cliniche compaiono in genere a 2-6 mesi dal contagio. Molto importante è il meccanismo difensivo immunitario dell’ospite.

La terapia consiste nell’applicazione di topici cheratolitici (cioè deputati alla distruzione dello strato più superficiale della cute, contenenti urea o vaselina salicilica ), nella crioterapia (congelamento con azoto liquido), nel courettage, o nella diatermocoagulazione.
Talvolta le verruche possono regredire spontaneamente.

Translate »